L’articolo 80 comma 5 lettera c) ancora al centro della giurisprudenza.
Nel caso in questione i giudici si esprimono sulla revoca di un’aggiudicazione, per fatti contestati all’amministratore unico ( un’indagine in corso).
La revoca avviene, nelle more della stipula del contratto, ai sensi dell’articolo 80 comma 5 lettera c) del Codice, nonché ai sensi dell’articolo 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.
A seguito della revoca la stazione appaltante bandisce una nuova gara.
L’impresa contesta l’applicazione dell’articolo 80 comma 5 lettera c) al caso in questione, nonché la violazione della Legge 241/1990, ed impugna gli atti adottati dalla stazione appaltante.
Tar Marche, Sez.I, 07/ 01 / 2020, n.7 accoglie il ricorso.
Dal tenore letterale dell’art. 80, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 50 del 2016, si ricava che deve essere la stazione appaltante a dimostrare “con mezzi adeguati” la colpevolezza dell’operatore economico per aver dato luogo a gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità e/o affidabilità (TAR Lazio Roma, sez. I, 11 settembre 2019, n. 10837). Nell’attuale paradigma normativo e giurisprudenziale, per l’individuazione dei “gravi illeciti professionali”, si assiste, infatti, a una tendenziale riduzione delle fattispecie tipiche, normativamente previste, in favore della dilatazione dei poteri valutativi delle stazioni appaltanti. In altre parole, queste ultime sono chiamate ad individuare in concreto le condotte suscettibili di integrare un “grave illecito professionale” e, pertanto, devono soddisfare un preciso onere motivazionale, palesando le ragioni fattuali e giuridiche sottese all’esercizio dei poteri discrezionali loro attribuiti (TAR Lombardia Milano, sez. I, 24 luglio 2019, n. 1737). …………
– quanto sopra implica, in via generale e astratta, che è riconosciuta, alla stazione appaltante, la facoltà di escludere un concorrente per ritenuti “gravi illeciti professionali” anche a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti -OMISSIS-; tuttavia ciò può avvenire a fronte di un’adeguata istruttoria e nel rispetto di un compiuto contraddittorio, dovendo essere tutelata in maniera effettiva la possibilità, per il soggetto destinatario del provvedimento di esclusione, di difendersi in sede procedimentale. Gli elementi valorizzati dall’Amministrazione devono essere, dunque, oggetto di contraddittorio con l’operatore interessato, il quale deve essere edotto sugli specifici profili che, pur nel contesto di -OMISSIS-in corso, sono considerati dirimenti dall’Amministrazione stessa ai fini dell’individuazione di un grave illecito professionale (cfr., ancora, TAR Lombardia Milano, sez. I, 24 luglio 2019, n. 1737);
– sul potere di revoca in generale, è stato invece affermato che, una volta intervenuta l’aggiudicazione, non è precluso all’Amministrazione appaltante di revocarla in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, di cui occorre comunque dare atto nella motivazione del provvedimento di autotutela, alla stregua dei principi generali dell’ordinamento giuridico; questi ultimi, oltre che espressamente codificati dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, trovano fondamento negli stessi principi costituzionali predicati dall’art. 97 Cost., ai quali deve ispirarsi l’azione amministrativa. L’esercizio di tale potere, peraltro, tenuto conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse che lo giustificano, non è subordinato al ricorrere di ipotesi tipiche, tassativamente predeterminate dal legislatore, ma è rimesso alla valutazione ampiamente discrezionale della stazione appaltante, attraverso un giudizio sulla capacità di gestione del servizio e sull’affidabilità della ditta prescelta in relazione ai requisiti morali posseduti, sindacabile in sede di legittimità solo per manifesta illogicità delle scelte operate. In particolare, nella materia dei contratti pubblici, il potere di revocare l’aggiudicazione ben può trovare fondamento, in via generale, sia in specifiche ragioni di pubblico interesse che nel mutamento della situazione di fatto (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 15 ottobre 2014, n. 5321).
Tanto chiarito sugli attuali arresti giurisprudenziali, si osserva che nella fattispecie in esame la revoca dell’aggiudicazione è stata disposta da -OMISSIS- per fatti che hanno riguardato l’amministratore unico della società (il quale ha poi rassegnato le proprie dimissioni dalla carica, giusta assemblea dei soci -OMISSIS-, pur rimanendo unico socio della società, come da visura camerale in atti), ritenuti di rilevanza tale da integrare “gravi illeciti professionali” e da comportare il venir meno del rapporto fiduciario con l’aggiudicataria, verificatisi a gara già conclusa e nelle more della stipula del contratto.
Per come emerge sia dalla delibera -OMISSIS- e dall’allegato parere legale del 19 giugno 2019, sia dalla comunicazione di -OMISSIS- -OMISSIS-, prot. -OMISSIS-, che riprende detto parere legale in taluni passaggi motivazionali, la stessa stazione appaltante ha qualificato l’esercizio della revoca in parola quale espressione di un potere di autotutela, essendo stata essa dichiaratamente disposta ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, per l’ipotesi di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 50 del 2016.
Tuttavia, sotto il profilo dei presupposti che legittimano l’esercizio del potere di revoca in generale, si osserva che nei medesimi atti non risulta adeguatamente esternato l’interesse pubblico sotteso (coincidente con il vulnus patito dall’Amministrazione), non potendosi esso rinvenire nell’essere venuta meno, a posteriori, la fiducia nell’impresa vincitrice della gara, in ragione di fatti il cui accertamento è in itinere, che riguardano la persona dell’amministratore o del legale rappresentante, rispetto ai quali non è stata compiuta un’adeguata istruttoria e dei quali non è stata data sufficiente contezza nella motivazione dell’atto impugnato (non avendo -OMISSIS- avuto accesso, per sua stessa ammissione, agli atti del -OMISSIS-né al provvedimento -OMISSIS-).
La revoca così disposta si palesa, invero, disancorata da fatti oggettivi e sostanzialmente ancorata al solo fatto dell’intervenuto provvedimento -OMISSIS-e alla pendenza -OMISSIS-.
Sotto il profilo, invece, dell’esclusione ex post dalla procedura per sopravvenuta perdita del requisito, l’illegittimità dell’agire amministrativo è ancor più evidente se si considera che il grave illecito professionale addotto a motivo della revoca non corrisponde a una fattispecie tipizzata dalla norma e presuppone l’esercizio di poteri valutativi da parte della stazione appaltante in ordine al persistere, in concreto, dei requisiti di affidabilità dell’operatore economico, il che avrebbe necessitato di un onere motivazionale – e, prima ancora, istruttorio – rafforzato. L’art. 80, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 50 del 2016 lascia, infatti, alla sola stazione appaltante la valutazione discrezionale – da fondarsi nel caso concreto su “mezzi adeguati” – di inaffidabilità, valutazione che, nella presente fattispecie, non risulta essere stata operata nei termini indicati dalla norma, data appunto l’inadeguatezza dei mezzi su cui essa è stata basata (consistiti, per lo più, nei documenti forniti dalla ricorrente e nelle notizia apprese dalla stampa) e il mancato rispetto di un compiuto contraddittorio con l’interessata in merito agli specifici aspetti oggetto di contestazione.
Né la revoca in parola può essere giustificata in applicazione della lettera c bis) del medesimo comma della suddetta disposizione, secondo cui “le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico che…abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, dal momento che nessun obbligo dichiarativo poteva essere richiesto alla concorrente per fatti venuti in rilievo successivamente all’aggiudicazione e di cui non è dato neppure sapere se la concorrente medesima ne fosse stata già a conoscenza nel momento in cui ha reso la propria dichiarazione.