Il ricorrente lamenta il difetto di qualificazione del consorzio aggiudicatario, in quanto la consorziata designata quale esecutrice era in possesso della categoria OG 2 classifica I, insufficiente per poter eseguire sia l’appalto oggetto di gara, atteso che l’appalto aveva ad oggetto un edificio costituente bene culturale ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 42/2004.
Tar Campania, I, 12 ottobre 2020, n. 4417, anche post sblocca cantieri, aderisce all’orientamento secondo cui il principio del “cumulo alla rinfusa” dei consorzi stabili, “sebbene ammesso in via generale nella legislazione in materia di contratti pubblici, non possa essere applicato per le qualificazioni nelle gare per lavori relativi ai beni culturali, per i quali vi è una chiara disposizione derogatoria costituita in particolare dall’art. 146 comma 2 del d. lgs, n. 50 del 2016, laddove si stabilisce che “I lavori di cui al presente capo – ovverosia interventi sui beni culturali – sono utilizzati, per la qualificazione, unicamente dall’operatore che ha effettivamente eseguiti. Il loro utilizzo, quale requisito tecnico, non è condizionato da criteri di validità temporale”. La disposizione afferma con tutta evidenza che una determinata ditta che ha eseguito tale tipo di lavori potrà “spenderli” come requisito esclusivamente proprio, per cui essa, se inserita in una struttura come proprio consorzio stabile, potrà farne uso per la propria qualificazione, ma non prestarli ad associate o eventualmente assumere come propri i lavori di questi>> (TAR Campania, Salerno, sez. I, 15 maggio 2020, n. 508 che richiama Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 2018, n. 6114).
L’interpretazione ora tratta del comma 2 dell’art. 146 del codice dei contratti pubblici deve essere letta congiuntamente ai commi 1 e 3 dello stesso articolo, poiché il comma 1 dichiara espressamente che tali disposizioni sono dettate in conformità agli artt. 9-bis e 29 del codice dei beni culturali – d. lgs. n. 42/2004 – per i quali coloro che eseguono lavori attinenti detti beni necessitano del possesso dei requisiti qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela dei beni oggetto di intervento (con il corollario rafforzativo – comma 3 – dell’eccezionale esclusione dell’istituto dell’avvalimento, esclusione ammessa per la specificità del settore dallo stesso art. 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Dagli artt. 9-bis e 29 del codice dei beni culturali si ricava che gli interventi operativi di tutela, protezione conservazione dei beni culturali debbano essere affidati alla responsabilità ed all’attuazione secondo le rispettive competenze delle figure specializzate nei singoli settori, nonché che gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali vengano eseguiti in via esclusiva dai soggetti formalmente individuati come restauratori di beni culturali.
Del resto, come chiarito anche dal Giudice amministrativo di appello, gli interventi aventi ad oggetto beni culturali sono caratterizzati da una particolare delicatezza derivante dalla necessità di tutela dei medesimi, in quanto beni testimonianza avente valore di civiltà, espressione di un interesse prioritario nella gerarchia dei valori in gioco (art. 9 Cost.), per cui si deve “escludere che nei contratti in materia di beni culturali i consorzi stabili possano qualificarsi con il cumulo alla rinfusa, essendo richiesto dalla norma il possesso di requisiti di qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2019, n. 403).
In altre parole, la disciplina concernente la qualificazione degli esecutori di lavori su beni sottoposti a tutela, in ragione del particolare interesse pubblico alla tutela e conservazione dei beni interessati, evidenzia una ratio tesa a determinare una diretta correlazione tra l’esecutore dei lavori e la titolarità della qualificazione in termini di attestazione per i lavori eseguiti tant’è che, in deroga alla regola generale, l’art. 146, comma 3, esclude l’ammissibilità dell’istituto dell’avvalimento dei requisiti speciali di partecipazione per i contratti stipulati nel settore dei beni culturali. Tale stretta e diretta correlazione è espressa, prima ancora che dalla norma che esclude l’avvalimento, dalla previsione contenuta all’art. 146, comma 2, ai sensi del quale i lavori eseguiti nel settore dei beni culturali «sono utilizzati, per la qualificazione, unicamente dall’operatore che li ha effettivamente eseguiti» (cfr. in tal senso ANAC, Delibera 26 settembre 2019, n. 822).
Da qui l’assunto che la regola del cumulo alla rinfusa dei requisiti di partecipazione, espressa per i consorzi stabili e le consorziate designate per l’esecuzione dei lavori, non può trovare applicazione per gli appalti di lavori nel settore dei beni culturali entrando altrimenti in contrasto con la disposizione inderogabile di cui all’art. 146, comma 2, d.lgs. 50/2016.
Tale orientamento non può ritenersi superato per effetto della novella introdotta con il d.l.n. 32/19 convertito nella l. n. 55/19 che ha semplificato la normativa sui requisiti del consorzio, senza tuttavia incidere sulle disposizioni speciali relative ai beni di interesse culturale.
La precisazione contenuta nella modifica normativa che la designazione non equivale a subappalto ha carattere ricognitivo e chiarificatore di una distinzione già certamente presente, ma che non può valere a superare la speciale prescrizione relativa alla necessaria qualificazione delle consorziate designate all’esecuzione dell’appalto avente ad oggetto beni di interesse culturale.
Peraltro, la circostanza che l’articolo 146 del codice dei contratti, recante la disposizione sui requisiti di qualificazione degli operatori economici per gli interventi aventi ad oggetto beni di interesse culturale, è rimasto immutato nella sua formulazione, rende prevalente tale speciale previsione di cui agli artt. 46 e 47 del medesimo codice, riferiti alla generale disciplina dei requisiti di partecipazione tecnici, in base al noto principio per cui lex posterior generalis non derogat priori speciali (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. lav. 16 gennaio 2018, n. 845).
Né la prospettata eterointegrazione contrasta con il principio di certezza delle cause di esclusione, atteso che l’art. 146, co. 2, del codice dei contratti non ha subito modifiche per effetto della innovazione e gli emendamenti apportati alle altre disposizioni del codice non hanno alterato il quadro preesistente”.
A cura di Elvis Cavalleri – Giurisprudenza e Appalti