Nel confermare la Sentenza di primo grado il Consiglio di Stato fornisce una significativa interpretazione dei divieti di pantouflage sanciti dall’articolo 53 comma 16 ter del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dall’art. 21 co. 1 d. lgs. 8 aprile 2013 n. 39.
La vicenda è relativa al rapporto di dipendenza ( con mansioni di operai ) che legava la stazione appaltante ed il legale rappresentante e socio dell’aggiudicataria, alla data della presentazione dell’offerta dipendenti di un ente pubblico economico.
In primo grado il ricorso si incentrava sulla violazione degli artt. 60 d.p.r. 3 del 1957 – che vieta ai dipendenti pubblici di accettare cariche in società costituite a scopo di lucro in costanza di rapporto di lavoro – e del Piano Triennale anticorruzione.
In primo grado il motivo veniva ritenuto infondato sulla base del seguente punto di diritto: ai fini dell’applicazione della disciplina di cui al d. lgs. 165 del 2001, non rientrano nella nozione di Amministrazione gli enti pubblici economici, non ricompresi nell’elencazione contenuta nell’art. 1, co. 2, dello stesso decreto, pertanto i dipendenti di un ente pubblico economico non hanno lo status di pubblico dipendente ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165; andava osservato che la stazione appaltante resistente rientrava nella categoria degli “enti pubblici economici”, ente pubblico dedito ad attività esclusivamente o prevalentemente economica, dal carattere puramente imprenditoriale, così come riconosciuto espressamente anche dalla Corte costituzionale con la sentenza 19 aprile 2019 n. 100, da cui derivava la natura privatistica dei rapporti di lavoro dei loro dipendenti, regolata dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa.
L’ appello avverso la Sentenza di primo grado viene respinto da Consiglio di Stato, Sez. V, 27/11/2020, n.7462 con una serie di motivazioni che appare opportuno segnalare.
Appare logico iniziare l’esame della causa dal secondo motivo con cui l’appellante lamenta che xxx legale rappresentante dell’affidataria …… ed il suo socio yyyy erano dipendenti di ……….. e tali lo sono stati fino al 31 ottobre 2018, quindi oltre il termine di presentazione delle domande di gara: ciò avrebbe reso evidente la violazione dell’art. 60 del d.P.R. 3 del 1957 e dell’art. 53 comma 16 ter del d. lgs. 165 del 2001 – come modificato dall’art. 1 co. 42 della l. 190 del 2012 – e rinforzato dall’art. 21 co. 1 d. lgs. 8 aprile 2013 n. 39, da ritenersi ricomprendente tutti i dipendenti di qualsiasi soggetto pubblico, ossia del divieto di approfittare della propria posizione privilegiata contrattando con l’amministrazione di appartenenza, includendovi quindi anche i dipendenti degli enti pubblici economici, come nel caso di specie, il che aveva permesso al Tribunale amministrativo veneto di escludere l’applicazione della norma.
La censura è infondata.
L’art. 53 comma 16 ter del d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165 stabilisce che “I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.”
L’art. 21 co. 1 del d. lgs 39 del 2013 ha inoltre stabilito che “Ai soli fini dell’applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell’incarico.”
La previsione normativa complessivamente intesa – denominata divieto di pantouflage dal termine usato per gli alti funzionari pubblici francesi che ottengono ad un certo punto della carriera lavori da soggetti privati – va interpretata nel senso che gli ex dipendenti pubblici non possono nei tre anni successivi assumere rapporti di lavoro privati o incarichi professionali presso soggetti privati destinatari dell’attività del soggetto pubblico al tempo datore di lavoro di tali ex dipendenti; il d. lgs. 39 del 2013 ha esteso tale divieto anche agli ex dipendenti di soggetti privati sotto controllo pubblico, il che potrebbe valere anche per ……………
Ma sembra ignorare l’appellante che l’art. 53 co. 16 citato e non integrato per tale parte dal d. lgs. 39 del 2013, stabilisce che il divieto ha valore per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni – ora anche per gli enti privati; ora le difese di ………….., non contraddette da parte avversa, informano che xxx e yyy erano stati assunti da …….. dal … 2018 al 31 ottobre dello stesso anno come “operai ex qualificati”, addetti a compiti esecutivi variabili e non complessi e comunque di livello inferiore rispetto alle mansioni proprie di operaio ex qualificato.
Non occorrono molti argomenti per ritenere che i due non esercitassero quei poteri autoritativi o negoziali che impediscono assunzioni o incarichi da parte di soggetti privati e che dunque il richiamo ai divieti di pantouflage non possa trovare nessi di collegamento con fattispecie concreta in esame.
L’appello viene respinto.
Articolo 53 comma 16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.
Art.21 comma 1. Ai soli fini dell’applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell’incarico.
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti