L’appellante ripropone infatti i vizi del bando di gara con riguardo alla previsione del criterio di valutazione della «Esecuzione del servizio» (criterio B: p. 20 del disciplinare di gara), in cui si contemplano due sub-criteri: il sub-criterio B1 («Stabilità del personale»: «percentuale di lavoratori adibiti all’appalto con contatto pluriennale a copertura della vigenza dell’appalto» (Allegato C al disciplinare di gara, pag. 3), per il quale si riservano 4 punti, da assegnare «applicando la percentuale offerta dal concorrente al punteggio massimo conseguibile»; e il sub-criterio B2 («Disciplina rapporto di lavoro») che assegna 8 punti all’appaltatore che scelga di applicare il «CCNL Metalmeccanico per la compagine dedicata alla manutenzione impiantistica [e il] CCNL Edile per la compagine dedicata alla manutenzione edile» e 2 punti all’appaltatore che dichiari di applicare il «CCNL Multiservizi per la compagine dedicata alla manutenzione impiantistica [e il] CCNL Edile per la compagine dedicata alla manutenzione edile».
Secondo l’appellante si tratta di criteri illegittimi in quanto non riconducibili alla qualità della prestazione, in violazione dell’art. 95 del Codice dei contratti pubblici (di cui al d.lgs. n. 50 del 2016), rappresentando inoltre una illegittima ingerenza nella autonomia contrattuale dell’imprenditore nel rapporto con il lavoratore nella scelta del CCNL applicabile.
Consiglio di Stato, Sez. V, 20/10/2021, n. 7053 respinge l’appello:
12- Esaminando il contenuto dei contestati criteri di aggiudicazione, di cui si è già riferito sopra, appare evidente come, attraverso di essi, l’amministrazione appaltante abbia inteso inserire – accanto o sullo stesso piano degli interessi pubblici specifici connessi alla necessità di acquisire i beni e servizi oggetto dell’appalto – ulteriori interessi sociali, in particolare il conseguimento di un più elevato livello di tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione del contratto.
Vero questo, la scelta dell’amministrazione solleva il problema dei limiti normativi entro i quali lo strumento dei contratti pubblici può essere utilizzato in una più ampia prospettiva funzionale, per il perseguimento di interessi e obiettivi di natura sociale, ambientale o più in generale di sostenibilità, sia dal lato del prodotto acquisito dal mercato, sia dal lato del processo specifico di produzione dei beni e servizi idonei a soddisfare i bisogni sottesi alla decisione dell’amministrazione di rivolgersi al mercato.
Limitando il discorso agli obiettivi di natura sociale, solo in parte è possibile ricavare dalla disciplina dei contratti pubblici, europea e nazionale una selezione di quelli che potrebbero giustificare una funzione sociale dei contratti pubblici. In particolare, dovendo ulteriormente restringere il campo agli interessi sociali attinenti alla tutela dei lavoratori, e segnatamente alla stabilità occupazionale e al diritto a una retribuzione equa e proporzionata alla qualità e quantità di lavoro (che costituiscono gli interessi sottesi alle clausole del disciplinare oggetto del presente giudizio), il primo riferimento è costituito dall’art. 30, comma 4, del Codice dei contratti pubblici (secondo cui al «personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia astrattamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente»), che impone di verificare la coerenza (la “astratta connessione”) tra l’attività oggetto dell’appalto e l’ambito di applicazione del C.C.N.L. indicato dall’impresa appaltatrice, ma non attribuisce all’amministrazione appaltante il potere di indicare nel bando di gara il contratto collettivo applicabile ai lavoratori impiegati nell’appalto (in tal senso si è assestata anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato: cfr. Sez. V, 17 gennaio 2018, n. 276; più di recente Sez. V, 3 novembre 2020 n. 6786).
12.1. – La norma è invocata dall’appellante per indurne l’illegittimità della clausola impugnata nel presente giudizio, ma a tale conclusione non si può giungere ove si tenga conto che, nella fattispecie, l’indicazione di un determinato CCNL (o meglio l’impegno degli offerenti ad applicare un determinato contratto collettivo) non condiziona l’ammissione alla procedura di gara, non essendo prescritto a pena di esclusione.
Nel caso in esame, infatti, l’introduzione di ulteriori interessi (di natura sociale) accanto all’interesse specifico all’acquisto di beni e servizi si realizza mediante l’integrazione dei criteri di aggiudicazione, con la conseguenza che la valutazione di ammissibilità deve essere condotta alla stregua delle direttive ricavabili dall’art. 95 del Codice dei contratti (anch’esso richiamato dall’appellante, in specie per quanto previsto dal comma 6, che istituirebbe una stretta connessione tra gli elementi di valutazione e l’oggetto dell’appalto, assente nel caso di specie).
12.2. – Si osservi che la dichiarazione di impegno ad applicare il CCNL indicato nel disciplinare di gara è destinata a operare come condizione di esecuzione del contratto e, per tale natura, rientra tra i requisiti per l’esecuzione dell’appalto; i quali, ai sensi dell’art. 100 del Codice dei contratti pubblici, «possono attenere […] a esigenze sociali e ambientali» e possono essere richiesti dalle stazioni appaltanti purché «compatibili con il diritto europeo e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione» e purché «precisati nel bando di gara o nell’invito».
12.3. – E’ pur vero, quanto alla verifica di compatibilità col diritto derivato dell’Unione, che nel considerando n. 104 della direttiva 2014/24/UE è predicata una netta distinzione funzionale tra condizioni di esecuzione di un appalto e criteri di aggiudicazione (nel senso che «[…], le condizioni di esecuzione dell’appalto sono requisiti oggettivi prestabiliti che non incidono sulla valutazione delle offerte»). Tuttavia, sia nella direttiva (art. 67) che nel Codice (art. 95, comma 6, cit.), la distinzione delineata, e il conseguente trattamento giuridico, non ubbidisce a tale indicazione, poiché diverse condizioni (che dovrebbero, in base alla loro natura e funzione, attenere alla fase esecutiva) sono invece contemplate come criteri di aggiudicazione. Si pensi alla possibilità di richiedere particolari qualifiche professionali per il personale incaricato di eseguire l’appalto [art. 67, paragrafo 2, lettera b), della direttiva; art. 95, comma 6, lettera e), del Codice).
12.4. – La Corte di Giustizia, inoltre, in una recente sentenza ha affermato la natura di principio fondamentale per l’aggiudicazione degli appalti dell’art. 18, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE, (nella parte in cui stabilisce «che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro elencate nell’allegato X»), che il legislatore dell’Unione ha inteso elevare «[…] allo stesso titolo degli altri principi contemplati al paragrafo 1 del medesimo articolo, vale a dire i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di trasparenza, di proporzionalità, nonché di divieto di sottrazione di un appalto all’ambito di applicazione della direttiva 2014/24 o di limitazione artificiosa della concorrenza. Ne consegue che una prescrizione siffatta costituisce, nell’economia generale di tale direttiva, un valore cardine sul cui rispetto gli Stati membri devono vigilare in virtù della formulazione stessa dell’articolo 18, paragrafo 2, della direttiva in parola» (Corte Giust. U.E., II, 30 gennaio 2020, in causa C/395-18, Tim SpA, al punto 38).
12.5. – Alla luce di tali osservazioni, e considerato che sia l’art. 67, paragrafo 2, della direttiva appalti che l’art. 95, comma 6, del Codice, come si evince dalle locuzioni utilizzate («Tra tali criteri possono rientrare ad esempio […]»; «Nell’ambito di tali criteri possono rientrare […]»), non prefigurano un elenco tassativo di parametri sui quali basare i criteri di valutazione delle offerte tecniche ma individuano un catalogo aperto e quindi integrabile con ulteriori criteri (tra i quali, come risulta dallo stesso art. 95, comma 6, «gli aspetti […] ambientali e sociali»), si deve concludere che la stazione appaltante può discrezionalmente inserire tra i criteri di aggiudicazione anche particolari condizioni di esecuzione dell’appalto volte a conseguire obbiettivi di natura sociale (arg. anche dall’art. 100, comma 1, del Codice dei contratti pubblici).
12.6. – La condizione necessaria per il legittimo esercizio di tale potere discrezionale è costituita dalla verifica della sussistenza di una connessione tra i criteri e l’oggetto dell’appalto (art. 95, comma 6), nei termini della definizione di cui all’art. 95, comma 11, che considera connessi all’oggetto dell’appalto i «criteri di aggiudicazione [che] riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell’ambito di tale appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori, forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del loro ciclo di vita, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale» (la disposizione recepisce l’art. 67, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE). Prendendo in considerazione anche fattori relativi all’intero ciclo di vita del lavoro, del bene o del servizio da acquisire, compresi i fattori coinvolti anche in una fase successiva al ciclo di vita, tra i criteri di aggiudicazione possono essere compresi anche criteri di natura sociale riferiti all’applicazione di un determinato contratto collettivo di lavoro o di una determinata tipologia di contratto di lavoro individuale, volti a conseguire specifici obiettivi di stabilità occupazionale e di trattamento economico e normativo dei lavoratori impiegati nell’appalto; fermo restando il limite da tempo individuato dalla giurisprudenza europea, ossia che il requisito non trasmodi nella previsione di criteri sociali che, abbandonando il legame con l’oggetto del contratto (nei termini sopra richiamati), prendano in considerazione gli aspetti relativi alla politica generale dell’impresa o altri aspetti estranei al programma contrattuale (si veda il leading case di cui a Corte Giust., 17 settembre 2002, C-513/99, Concordia Bus Finland; in seguito Corte Giust., 10 maggio 2012, C-368/10, Commissione c. Paesi Bassi, in particolare ai punti 89 ss.).
12.7. – Altri limiti sono di ordine generale e riguardano l’esercizio della discrezionalità dell’amministrazione appaltante nella selezione degli interessi sociali, ambientali o relativi a obiettivi di sostenibilità, la cui individuazione, e il cui peso nell’impianto della gara, devono scaturire dalla ponderazione sia con l’interesse specifico del contratto (ossia dell’interesse all’acquisizione del lavoro, bene o servizio per il soddisfacimento di specifici bisogni dell’amministrazione) sia con i principi generali di proporzionalità, parità di trattamento, non discriminazione e concorrenzialità del mercato degli appalti pubblici (art. 95, comma 2).
12.8. – Nel caso in esame, la scelta dell’amministrazione è conforme alle direttive enunciate, sia perché i criteri di valutazione presentano chiari collegamenti con l’oggetto dell’appalto, facendo riferimento esclusivamente all’impegno ad applicare un determinato CCNL e ad assumere con contratti a tempo indeterminato per i lavoratori da impiegare nell’esecuzione dell’appalto (senza ricadute sulle politiche generali dell’impresa), sia perché appaiono rispettosi del principio di proporzionalità, posto che, in relazione al punteggio attribuito (pari nel massimo complessivamente a 12 punti, sui 70 complessivi riservati alla valutazione dell’offerta tecnica), la clausola rivela una limitata incidenza sul punteggio complessivo e non appare quindi idonea a scardinare l’impianto dei criteri di valutazione.