Infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Questo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi su Ordinanza del Tar Molise.
Il Tar Molise, Sez. I, con Ordinanza n.278 del 17/10/2020, dopo la ricostruzione degli istituti del subappalto e dell’avvalimento, aveva sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunciasse sulla questione di legittimità costituzionale degli articoli 105 e 146 del codice dei contratti pubblici nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali. ( vedasi https://www.giurisprudenzappalti.it/sentenze/subappalto-categoria-og2-gli-articoli-105-e-146-del-codice-dei-contratti-alla-corte-costituzionale/).
Il Tar Molise dunque, sospettava l’illegittimità costituzionale dell’art. 105 cod. contratti pubblici, che disciplina il subappalto, e dell’art. 146 cod. contratti pubblici ( che prevede un divieto solo per l’avvalimento ), nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali.
La Sentenza Corte Costituzionale n.91 2022 depositata oggi 11 aprile, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 stabilendo che :
Il subappalto, pur condividendo con l’avvalimento taluni caratteri e finalità, a partire dal favor partecipationis, si connota per una disciplina, che garantisce la tutela dei beni culturali, ove siano oggetto del contratto.
È quanto si inferisce da due aspetti della regolamentazione del subappalto che lo distinguono dall’avvalimento.
8.2.1.– Innanzitutto, il subappalto, quando non sia affidato all’ausiliario e, dunque, non risulti abbinato all’istituto dell’avvalimento, presuppone che l’impresa abbia i requisiti per partecipare alla gara.
Questo implica che, nei contratti di lavori, l’impresa, anche qualora non disponga di tutte le qualificazioni richieste per le singole lavorazioni oggetto dell’appalto, abbia, quanto meno, l’attestazione SOA relativa alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori oggetto del contratto. Tale disciplina si desume sia dall’art. 12, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 2014, n. 80, che – come conferma la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 20 luglio 2021, n. 5447 e 15 febbraio 2021, n. 1308, nonché Consiglio di Stato, sezione terza, ordinanza 10 giugno 2020, n. 3702 – è tuttora in vigore, avendo l’art. 217, comma 1, lettera nn), cod. contratti pubblici abrogato i soli «commi 3, 5, 8, 9 e 11» del citato art. 12, sia dall’art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), anch’esso tuttora vigente, come rileva la già richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. 1308 del 2021.
Le garanzie offerte, in sede di gara, dal possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente non implicano, d’altro canto, una fungibilità, in sede esecutiva, tra le varie qualifiche richieste.
Solo nel caso delle categorie a qualificazione non obbligatoria l’aggiudicatario può eseguire anche in proprio le relative lavorazioni, sfruttando l’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente (art. 12, comma 2, lettera a, del d.l. n. 47 del 2014, come convertito).
Viceversa, per le categorie a qualificazione obbligatoria l’ordinamento impone che l’esecutore dei lavori abbia tale specifica qualificazione. Di conseguenza, il concorrente, pur se dotato dei requisiti prescritti ai fini della partecipazione alla gara – grazie all’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente –, non può, tuttavia, eseguire le lavorazioni inerenti alle categorie a qualificazione obbligatoria, sicché si rende necessario il ricorso al subappalto.
Al contrario, nel caso dell’avvalimento, il concorrente da solo non dispone delle qualifiche per partecipare alla gara, ma, una volta integrate nell’azienda le risorse e le competenze necessarie, tramite l’avvalimento, esegue in proprio le relative prestazioni, salva la previsione di cui all’art. 89, comma 1, cod. contratti pubblici e ferma restando la facoltà di fare eventualmente ricorso al subappalto.
8.2.2.– Emerge, a questo punto, la seconda e decisiva differenza del subappalto rispetto all’avvalimento.
Il tipo contrattuale del subappalto – un subcontratto che si dirama dal modello dell’appalto – presenta, quali obbligazioni tipiche, il compimento «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio» di un’opera o di un servizio «verso un corrispettivo in denaro» (art. 1655 del codice civile).
In sostanza, l’esecuzione dei lavori in proprio, effettuata in maniera autonoma rispetto al subcommittente, rientra tra le obbligazioni tipiche del subappalto, cui, viceversa, risulta in toto estranea l’obbligazione a prestare unicamente requisiti.
Di riflesso, sia che l’aggiudicatario possa partecipare all’appalto, ma non abbia la qualificazione specialistica per le lavorazioni relative ai beni culturali (ciò che rende necessario il subappalto), sia che abbia tale qualificazione specialistica, ma decida, nel rispetto del bando di gara, di avvalersi in via facoltativa del subappalto, in ogni caso, il tipo contrattuale in esame garantisce che l’esecuzione della prestazione sia effettuata in proprio e in via diretta dal subappaltatore.
Al contempo, la lettera dell’art. 148, comma 4, cod. contratti pubblici, secondo cui «[i] soggetti esecutori dei lavori di cui al comma 1 [riferito ai beni culturali e del paesaggio] devono in ogni caso essere in possesso dei requisiti di qualificazione stabiliti dal presente capo», assicura che il subappaltatore esecutore dei lavori disponga delle necessarie qualificazioni specialistiche.
Risulta, a questo punto, naturale che il subappaltatore risponda della sua esecuzione nei confronti del subappaltante e che quest’ultimo sia responsabile verso il committente. Peraltro, va incidentalmente precisato che l’evoluzione normativa, sopra richiamata e non riferibile al giudizio a quo (si veda il punto 7), ha oramai previsto anche una responsabilità solidale del subappaltatore e dell’appaltatore verso il committente. E se questo ovviamente non incide sul presente giudizio, in ogni caso è il segno di una tendenza a potenziare ulteriormente le garanzie offerte con il subappalto.
Tornando ora a volgere lo sguardo al contesto normativo applicabile al processo a quo, l’elemento, comunque, decisivo è che – in base alla disciplina del subappalto relativo ai beni culturali – soltanto l’operatore dotato di una qualificazione specialistica può eseguire i lavori relativi a tali beni, e questo di per sé assicura loro una effettiva e adeguata tutela.
Si dissolve, in tal modo, la censura di irragionevolezza, poiché il subappalto non condivide con l’avvalimento la ratio della norma censurata, riferibile, per l’appunto, all’esigenza di tutelare i beni culturali, il che smentisce la similitudine rispetto al tertium comparationis.
Senza una giustificazione riconducibile alla protezione dei citati beni, non soltanto la mancanza del divieto di subappalto non contrasta con gli artt. 3 e 9 Cost., ma, al contrario, l’eventuale previsione del divieto di subappalto – come richiesto dal rimettente – potrebbe tradursi in una compressione del principio della concorrenza (si veda, in proposito, Corte di Giustizia, sentenze 27 novembre 2019, C-402/18, Tedeschi e 26 settembre 2019, C-63/18, Vitali), oltre che dell’autonomia privata, non priva di criticità.
9.– In conclusione, nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte, che non ravvisa una violazione del principio di eguaglianza quando «alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2020)» (sentenza n. 71 del 2021), le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., non sono fondate.
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti