Il collegio consultivo tecnico previsto dagli artt. 5 e 6 del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, interviene con funzione consultiva nelle sole ipotesi previste dall’art. 5, comma 1, lett. a) – d), tra le quali non rientra quella del grave inadempimento dell’appaltatore ad obblighi contrattuali (quali quelli contestati nel caso di specie), nonché nell’ipotesi dello stesso art. 5, comma 4, quando “la prosecuzione dei lavori … non possa procedere con il soggetto designato” (la cui interpretazione preferibile, malgrado l’inciso “per qualsiasi motivo”, induce ad escludere la fattispecie della risoluzione per grave inadempimento dell’appaltatore).
Questo il principio affermato dal Consiglio di Stato su controversia relativa a risoluzione di contratto di appalto per lavori.
L’impresa impugna la risoluzione davanti al Tar sostenendo che la giurisdizione del giudice ordinario non troverebbe applicazione nel caso di specie perché si sarebbe in presenza della violazione degli artt. 5 e 6 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e succ. mod.
Secondo la società ricorrente l’applicazione di tali norme comporterebbe che l’amministrazione non potrebbe più dichiarare la risoluzione del contratto operando iure privatorum, ma sarebbe tenuta a: i) costituire il collegio consultivo tecnico (entro il 15 settembre 2020, cioè alla scadenza dei trenta giorni dall’entrata in vigore del d.l. n. 76 del 2020); ii) sottoporre al collegio consultivo tecnico la possibile risoluzione contrattuale; iii) non dare corso alla risoluzione nel caso in cui “per gravi motivi tecnici ed economici sia comunque, anche in base al citato parere, possibile o preferibile proseguire col medesimo soggetto”.
Pertanto, a monte dell’esercizio del potere di risoluzione contrattuale, vi sarebbe un “segmento procedimentale” che comporta una valutazione discrezionale dell’autorità amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato, seppure parte contrattuale, recede ad interesse legittimo.
Il Tar respinge il ricorso.
Consiglio di Stato, Sez. V, 07/06/2022, n. 4650 respinge l’appello:
6. L’appello è infondato.
6.1. In primo luogo va precisato che la normativa di recente introduzione – circa l’obbligatorietà della nomina di un collegio tecnico consultivo – si applica soltanto ai contratti di appalto di lavori sopra soglia comunitaria (euro 5.350.000 euro). L’appalto oggetto del presente contenzioso è di importo inferiore alla soglia comunitaria, atteso che l’importo a base d’asta è di euro 3.658.489,51.
Mentre la nomina del collegio tecnico consultivo è obbligatoria per gli appalti di lavori sopra la soglia comunitaria, per quelli sotto soglia è soltanto facoltativa (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, decreto 14 novembre 2020, n. 795 secondo cui “c) l’invocato art. 5 D.L. n. 76 del 2020 è del tutto irrilevante nella presente controversia atteso che: c.1) riguarda i soli appalti sopra soglia comunitaria, laddove nella specie si disputa di un appalto sotto soglia”).
Chiaramente dispone nel senso appena detto l’art.6, commi 1 e 4, del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020 e succ. mod.:….
6.1.1. Nell’appalto de quo l’amministrazione, con l’accordo dell’appaltatore, non ha inteso avvalersi della facoltà di nominare il collegio consultivo tecnico, per come si evince dall’art.26 del contratto (“Per le eventuali controversie circa l’interpretazione e l’applicazione del presente contratto sarà competente il Foro di Napoli; è esclusa la competenza arbitrale.”).
6.2. Malgrado la portata dirimente dell’argomento appena esposto, merita sottolineare che il collegio consultivo tecnico previsto dagli artt. 5 e 6 del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, interviene con funzione consultiva nelle sole ipotesi previste dall’art. 5, comma 1, lett. a) – d), tra le quali non rientra quella del grave inadempimento dell’appaltatore ad obblighi contrattuali (quali quelli contestati nel caso di specie), nonché nell’ipotesi dello stesso art. 5, comma 4, quando “la prosecuzione dei lavori … non possa procedere con il soggetto designato” (la cui interpretazione preferibile, malgrado l’inciso “per qualsiasi motivo”, induce ad escludere la fattispecie della risoluzione per grave inadempimento dell’appaltatore).
Allo stesso collegio consultivo tecnico, poi, l’art. 6, comma 1, riserva “funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto stesso”, con il compito di adottare delle “determinazioni” volte appunto a risolvere tali dispute e controversie.
Queste “determinazioni” vanno tenute distinte dai “pareri” di cui al precedente art. 5, malgrado negli scritti della parte qui appellante le fattispecie vengano sovrapposte (in particolare quanto agli effetti delle “determinazioni” di cui all’art. 6, concernenti la responsabilità del r.u.p. per danno erariale, che l’appellante riferisce alla mancata acquisizione o all’inosservanza dei pareri di cui all’art. 5).
Alle “determinazioni” del collegio consultivo tecnico il comma 3 dell’art. 6 attribuisce, infatti, la natura di “lodo contrattuale previsto dall’articolo 808 ter del codice di procedura civile, salva la diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti stesse”. Si tratta, cioè, di un arbitrato irrituale che, salvo tale diversa volontà delle parti (e salvo ricorra una delle cause di annullabilità dell’art. 808 ter, comma 2, c.p.c.), sottrae la controversia alla giurisdizione ordinaria.
6.2.1. Sia nell’un caso che nell’altro, il provvedimento di risoluzione contrattuale non vede modificata la propria natura di esercizio di diritto soggettivo di natura contrattuale e non di potere autoritativo.
L’art. 5, comma 4, ne disciplina le modalità di esercizio nei casi ivi previsti e l’art. 6 prevede che la controversia tra le parti nella fase esecutiva sia comunque rimessa al “lodo contrattuale” del collegio consultivo tecnico, ma l’eventuale violazione di tali norme andrebbe fatta valere dinanzi al giudice ordinario.
6.2.2. A maggior ragione la cognizione del giudice ordinario va affermata nel caso in esame, che, come detto nella sentenza di primo grado, è “paradigmatico di una controversia relativa alla corretta esecuzione del rapporto”.
La risoluzione, infatti, è stata disposta “per grave e perdurante inadempimento contrattuale, per grave negligenza e imperizia, per danno prodotto ai beni immobili oggetto di tutela ai sensi del d.lgs. 42/2004”, sulla scorta delle valutazioni formulate dal RUP e dal direttore dei lavori nelle relazioni allegate.
6.3. Dato ciò, e ribadita l’inapplicabilità dell’art. 6, comma 1, del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, agli appalti sotto soglia, quale il presente, va definitivamente escluso che la presente controversia involga il mancato esercizio da parte dell’amministrazione del potere pubblicistico di preventiva costituzione del collegio consultivo tecnico.
7. L’appello va quindi respinto e la sentenza impugnata va confermata anche quanto alla rimessione al giudice civile ordinario davanti al quale il processo può essere proseguito con le modalità ed i termini di cui all’art. 11 Cod. proc. amm.
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti