Qualora l’appaltatore subisca un imprevedibile incremento dei costi da sopportare per l’espletamento del servizio è possibile adottare una variante ai sensi dell’articolo 106 comma 1 lettera c) del Codice.
Oppure, qualora si verifichi un aumento imprevedibile del costo del servizio in grado di alterare il sinallagma contrattuale rendendo il contratto eccessivamente oneroso per l’appaltatore, questi può sempre esperire il rimedio civilistico di cui all’art. 1467 c.c., chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Questa la posizione del Tar Campania su un contenzioso relativo ad una richiesta di revisione prezzi per un contratto stipulato nel 2011 ma che, per successivi rinnovi preceduti da una specifica rinegoziazione, era giunto fino al 2020 ( dunque in vigenza del Codice dei Contratti ).
Una sentenza che, proprio perché legata alla tematica della revisione prezzi, risulta particolarmente significativa.
Questo quanto stabilito da Tar Campania, Napoli, Sez. V, 16/06/2022, n. 4095:
Invero, con riguardo a tali ulteriori segmenti del rapporto contrattuale, la pretesa della parte ricorrente, stante l’avvenuta rinnovazione del rapporto contrattuale, avrebbe dovuto trovare riconoscimento in virtù della lettera c) dell’art. 106 comma 1 d. lgs. 50/2016, nelle more entrato in vigore.
Tuttavia, tale disposizione detta una disciplina diversa da quella previgente.
L’art. 106 comma 1 lett. c) del d. lgs. n. 50/2016 dispone che “I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti: … c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7:
1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;
2) la modifica non altera la natura generale del contratto”.
La norma, osserva il Collegio, disciplina i casi in cui, nel corso di svolgimento del rapporto contrattuale, si renda necessario, per circostanze impreviste e imprevedibili, modificare “l’oggetto del contratto” attraverso “varianti in corso d’opera”, ossia “modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15/11/2021, n. 7602), laddove invece, nel caso di specie, la domanda formulata dalla parte ricorrente all’amministrazione sanitaria concerneva unicamente l’adeguamento del prezzo dell’appalto ad asseriti aumenti dei costi del servizio.
D’altra parte, a tutto concedere, la ricorrente non ha provato la sopravvenienza di circostanze impreviste e imprevedibili, limitandosi a documentare un aumento del costo del servizio che, quand’anche consistente, deve essere “imprevedibile” per poter rientrare nella citata previsione normativa, comunque inapplicabile alla fattispecie in esame, alla stregua di quanto esposto.
La stessa giurisprudenza formatasi sul previgente art. 115 d. lgs. 163/2006 – che, diversamente dall’attuale art. 106 lett. a) d. lgs. 50/2016, prevedeva l’obbligo di inserzione della clausola di revisione prezzi nei contratti ad esecuzione continuata e periodica – esigeva la prova rigorosa della “imprevedibilità” delle circostanze sopravvenute; e ciò sul rilievo che, “Anche se la clausola di revisione dei prezzi deve essere obbligatoriamente inserita nei contratti ad esecuzione continuata e periodica (art. 115, d.lgs. n. 163/2006), essa non assume la funzione di eliminare completamente l’alea tipica di un contratto di durata, la quale costituisce proprio oggetto di specifico apprezzamento (al momento della formulazione dell’offerta economica) dei concorrenti che intendono concorrere alla gara d’appalto. Se indubbiamente il meccanismo deve prevedere la correzione dell’importo previsto ab origine in esito al confronto comparativo – per prevenire il pericolo di un’indebita compromissione del sinallagma contrattale – il riequilibrio non si risolve in un automatismo perfettamente ancorato ad ogni variazione dei valori delle materie prime (o dei quantitativi), che ne snaturerebbe la ratio trasformandolo in una clausola di indicizzazione” (T.A.R. Lombardia – Brescia, sez. I, 03/07/2020, n. 504; TAR Friuli-Venezia Giulia, 7 luglio 2021, n. 211)
Pertanto, con riguardo al periodo decorrente dall’anno 2016, la domanda della ricorrente deve quindi essere inquadrata correttamente nella previsione di cui alla lettera a) dell’art. 106 comma 1, secondo cui “1. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti: a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro. (…)”.
La norma, diversamente – come detto – dal previgente art. 115 del d. lgs. n. 163/2006, rimette oggi alla discrezionalità della stazione appaltante la scelta di inserire o meno nei bandi di gara una clausola di revisione periodica del prezzo.
Tale disciplina è stata ritenuta compatibile con il diritto comunitario dalla Corte di Giustizia UE con sentenza del 19 aprile 2018, C 152/17, laddove si è affermato che la direttiva 2004/17/CE e i principi generali ad essa sottesi non ostano a norme di diritto nazionale che non prevedano la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva.
Ciò peraltro non comporta che, in presenza di una espressa esclusione negli atti di gara di ogni ipotesi di revisione del prezzo, l’impresa appaltatrice rimanga sprovvista di mezzi di tutela nel caso in cui si verifichi un aumento esorbitante dei costi del servizio in grado di azzerarne o comunque di comprometterne in modo rilevante la redditività; nel corso del rapporto, infatti, anche in presenza di una previsione escludente della legge di gara, qualora si verifichi un aumento imprevedibile del costo del servizio in grado di alterare il sinallagma contrattuale rendendo il contratto eccessivamente oneroso per l’appaltatore, questi può sempre esperire il rimedio civilistico di cui all’art. 1467 c.c., chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per eccessiva onerosità sopravvenuta, alle condizioni previste dalla norma e, ovviamente, con azione proposta dinanzi al giudice competente.
Nel caso di specie, da un lato, le singole delibere disponenti il protrarsi del rapporto contrattuale non hanno contemplato espressamente la revisione del prezzo in caso di aumento dei costi afferenti allo svolgimento del servizio; dall’altro, la stessa istanza di revisione del prezzo è stata formulata dall’impresa aggiudicataria senza dedurre la sopravvenienza di circostanze impreviste e imprevedibili, essendo sempre consentito alla ricorrente, per non soggiacere ad un rapporto contrattuale divenuto – a suo dire – sperequato e antieconomico, rifiutarsi legittimamente di stipulare il contratto, anziché pretendere una revisione del prezzo non espressamente prevista.
Infine, il riconoscimento del compenso revisionale non può certamente discendere dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 4704/2019 con cui l’intestato Tar aveva accolto l’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. proposta dalla ricorrente con riguardo ai periodi contrattuali dal 2016/2018, essendo sufficiente rammentare che il diritto soggettivo alla revisione dei prezzi non discende direttamente dalla legge, dovendo sempre trovare riconoscimento all’esito di un procedimento amministrativo. Si verte, infatti, in un’area di rapporti in cui la p.a. agisce esercitando il suo potere autoritativo, come del resto palesato dalla circostanza che l’art. 115 del Codice dei contratti innanzi richiamato rinvia ad un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi e pertanto ad un’attività procedimentalizzata, avviabile ad impulso della parte.
In definitiva, non potendo essere accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso, deve escludersi il diritto della ricorrente a percepire il compenso revisionale per il periodo compreso tra l’anno 2016 e l’anno 2019.
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti