E ribadisce come l’indicazione fosse necessaria, in quanto il servizio di gestione delle attività inerenti e/o conseguenti al processo sanzionatorio amministrativo non ha natura intellettuale.
La vicenda riguarda procedura per affidamento del “servizio di gestione delle attività inerenti e/o conseguenti al processo sanzionatorio amministrativo”, di competenza della Polizia Municipale, da aggiudicarsi secondo il criterio del minor prezzo.
La quarta classificata impugnava gli esiti della gara, lamentando la violazione dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016, per non avere le concorrenti, collocatesi in posizione poziore, ritualmente evidenziato, con indicazione separata, i costi relativi alla manodopera da impiegare nella esecuzione della commessa.
Il Tar accoglieva il ricorso.
Consiglio di Stato, Sez. V, 06/09/2022, n.7743 conferma la sentenza di primo grado:
2.1.- Il motivo è destituito di fondamento.
2.1.1.- In via preliminare, non appare condivisibile l’assunto secondo cui le attività ricomprese nel servizio oggetto di affidamento rivestissero “natura intellettuale”: e ciò in quanto, come è dato evincere dalla lettura del capitolato, le prestazioni richieste comprendevano anche adempimenti (come le attività di stampa e recapito degli accertamenti o le attività di front line) certamente non rientranti, per loro natura, in tale categoria.
D’altra parte, non è dubbio che le operazioni programmaticamente previste (che includevano scansione dei verbali, avvio di azioni stragiudiziali o giudiziali in tutte le sedi opportune, ricezione dei ricorsi e lodo inoltro, ricevimento dell’utenza dal lunedì al venerdì per almeno otto ore al giorno) postulassero il rilevante ricorso a risorse personali, pur non trattandosi di attività di ordine specificamente intellettuale.
2.1.2.- Ciò posto, importa ribadire, in termini generali (cfr., tra le tante e da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2021, n. 2839), che la disposizione dell’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, laddove impone ad ogni operatore economico, con non equivoca formula verbale deontica, di indicare nell’offerta economica “i propri costi della manodopera” e “gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”, fissa (con l’espressa eccezione, non ricorrente nel caso di specie, delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. a)) un obbligo dichiarativo a pena di esclusione, la cui complessiva ratio è esplicitata nell’ultimo periodo dello stesso articolo, secondo il quale “le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto dall’art. 97, comma 5, lett. d)”, vale a dire il rispetto dei minimi salariali retributivi del personale indicati nelle tabelle di cui all’art. 23, comma 16.
È in gioco, con ogni evidenza, una finalità di tutela delle condizioni dei lavoratori (sotto il duplice e concorrente profilo dell’adeguatezza del trattamento retributivo, in proporzione alla quantità e qualità delle prestazioni prestate, ex art. 36 Cost. e del rispetto degli obblighi di salvaguardia dell’integrità fisica e della personalità morale sui luoghi di lavoro, ex art. 2087 c.c.), che, in considerazione della rilevanza costituzionale degli interessi, è presidiata da particolare rigore (cfr. art. 30, comma 3, in relazione all’art. 97, comma 5, lettere a), c) e d) del Codice), sì che alla stazione appaltante è imposta una rigorosa verifica della serietà dell’offerta economica, in particolare in presenza di offerte anormalmente basse (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2021, n. 283).
Per tale motivi, l’indicazione separata e distinta dei propri costi della manodopera (così come degli oneri interni) è strutturata (proprio in ragione della specifica responsabilizzazione dichiarativa del concorrente e della agevolazione delle corrispondenti verifiche rimesse alla stazione appaltante) come una componente essenziale dell’offerta economica, presidiata da una clausola espulsiva.
La portata escludente dell’inosservanza dell’obbligo in parola e la conseguente sottrazione, ai sensi dell’art. 83, comma 9, alla postuma sanatoria – ritenuta conforme ai principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza dalla sentenza della Corte di Giustizia, sez. IX, 2 maggio 2019 in causa C-309/18 – è stata confermata dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nelle sentenze del 2 aprile 2020, n. 7 e n. 8, citate dall’appellante (che, a loro volta, richiamano le sentenze di questa Sezione V, 24 gennaio 2020, n. 604 e 10 febbraio 2020, n. 1008).
Vero è, peraltro, che la stessa Corte di Giustizia ha fatto salvo il caso in cui “le disposizioni della gara d’appalto non consent[a]no agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche”, nel qual caso, sulla scorta dei principi di trasparenza e di proporzionalità, deve ritenersi consentita la regolarizzazione dell’offerta mediante attivazione del potere di soccorso istruttorio.
All’affermazione dei detti principi la Corte di giustizia è giunta sulla base del rilievo che, essendo chiaramente fissato dal Codice dei contratti pubblici (artt. 95, comma 10, e 83, comma 9, suddetti) l’obbligo di indicare separatamente i costi in questione in sede di offerta, qualsiasi operatore economico “ragionevolmente informato e normalmente diligente” si deve presumere a conoscenza dell’obbligo in questione. Con specifico riferimento al caso oggetto di rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia ha peraltro precisato, da un lato, che il bando di gara conteneva un espresso rinvio alle norme del codice dei contratti pubblici, ma che dall’altro lato il modello predisposto dalla stazione appaltante che i concorrenti dovevano obbligatoriamente utilizzare “non lasciava loro alcuno spazio fisico per l’indicazione separata dei costi della manodopera. In più, il capitolato d’oneri relativo alla medesima gara d’appalto precisava che gli offerenti non potevano presentare alcun documento che non fosse stato specificamente richiesto dall’amministrazione aggiudicatrice” (§ 29). In ragione di tali circostanze la Corte di giustizia ha demandato al giudice del rinvio di verificare se nel caso di specie “fosse in effetti materialmente impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici e valutare se, di conseguenza, tale documentazione generasse confusione in capo agli offerenti, nonostante il rinvio esplicito alle chiare disposizioni del succitato codice” (§ 30), al fine di fare eventualmente applicazione del soccorso istruttorio.
Nondimeno, ritiene il Collegio che nella vicenda in esame, contrariamente all’assunto dell’Amministrazione appellante, non ricorrano, in concreto, le condizioni di “materiale impossibilità” di separata evidenziazione, e ciò in quanto:
a) per un verso, l’omessa indicazione, in tal senso, nel corpo della lex specialis appare priva di rilievo affidante, in ragione della ribadita attitudine eterointegrativa della prescrizione normativa del Codice, che deve senz’altro postularsi (anche all’esito del consolidato orientamento giurisprudenziale) ben nota ad ogni serio ed informato operatore economico;
b) per altro verso, la non editabilità dei moduli dichiarativi predisposti dalla stazione appaltante (redatti, peraltro in conformità ad una prassi diffusa, in formato limitatamente editabile) non è di per sé preclusiva, sul piano della materiale elaborazione scritturale dei termini dell’offerta, della integrazione ad opera dell’offerente (come, del resto, concretamente comprovato dalla circostanza che l’appellata, insieme a taluno degli altri concorrenti, aveva senza difficoltà provveduto alla integrazione).
Invero, come chiarito, la scusabilità dell’omissione (e la conseguente ammissibilità del soccorso) deve ancorarsi alla obiettiva impossibilità pratica di modulare, integrare e personalizzare i contenuti dell’offerta ovvero alla esistenza di una chiara preclusione prescrittiva, che, espressamente vietando la modifica dei documenti unilateralmente predisposti, valga a porre l’operatore concorrente nella situazione di dover inammissibilmente optare per il rispetto della norma generale o, alternativamente, di quella speciale incompatibile.
Nel caso di specie, come correttamente evidenziato dal primo giudice, non era riscontrabile una materiale “impossibilità di indicazione”, in quanto il modello dell’offerta economica era bensì non editabile, ma “aperto”, con facoltà di inserimento di dati “ulteriori” (come quelli imposti dalla normativa di settore), come, del resto, dimostrato dalla circostanza che, nella medesima situazione, la controinteressata non aveva avuto difficoltà a compilarlo, a mezzo di integrazioni a mano.
3.- Le esposte considerazioni militano per la reiezione dell’appello.
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti