Successivamente, bandita la gara, venivano disposte due proroghe agli stessi patti e condizioni.
Queste ultime, secondo la ricorrente, sarebbero divenute lesive in quanto non più sostenibili a causa del prolungarsi del rapporto negoziale che avrebbe comportato oneri maggiori di quanto originariamente previsto e pattuito, in specie per l’assunzione di personale in più.
Richiede dunque l’annullamento delle determinazioni ed il risarcimento di tutti i maggiori oneri sostenuti.
Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 30/05/2023, n. 9167 respinge il ricorso:
L’odierna fattispecie è regolata, invece, dall’art. 106, comma 11, del d.lgs. n. 50/2016, che del resto è la stessa parte ricorrente a richiamare nei propri scritti difensivi, ma che non depone a favore delle relative tesi.
Invero, si osserva come le proroghe successive dopo la prima sono finalizzate allo scopo di consentire l’espletamento della gara e il ri-affidamento del servizio del quale la ricorrente è gestore uscente, ossia quel medesimo scopo cui la prima proroga era funzionale.
Ciò comporta, quale effetto, la prosecuzione senza soluzione di continuità del rapporto (agli stessi patti e condizioni di cui meglio oltre) poiché non si era ancora verificata la condizione alla quale erano riservati i relativi effetti (ossia la rinnovazione delle procedure di gara).
Vero è che il contratto prevedeva un termine di possibile proroga (durante il quale si conveniva espressamente che sarebbero rimaste in vigore le pattuizioni relative al prezzo) di sei mesi e che, pertanto, con la seconda e terza proroga di fatto si perveniva ad una estensione della durata dell’appalto maggiore di quanto originariamente previsto; tuttavia, la disposizione (che parte ricorrente stessa invoca) di cui all’art. 106, comma 11, del d.lgs. 50/2016 è chiara nel prevedere che il riaffidamento del servizio è la condizione essenziale affinchè possa disporsi la proroga (alle altre condizioni meglio precisate anche in giurisprudenza, v. ex plurimis, da ultimo, T.A.R. , Napoli , sez. VIII , 10/02/2022 , n. 891) ed, altresì, che quest’ultima avviene agli stessi patti e condizioni dell’affidamento originario (che, nel caso di specie, includono – circostanza pacifica – anche le variazioni medio tempore intervenute nell’estensione e nel pagamento del servizio).
Nella sua più ampia formulazione, l’art. 106 del codice appalti contempla tassativamente i casi nei quali, in pendenza del rapporto (e quindi anche nella fase di proroga del contratto di affidamento) è possibile accedere ad una revisione o adeguamento dei prezzi e nessuna di queste ipotesi è dedotta nell’odierna fattispecie (ad esempio, in caso di evento imprevedibile, cfr. T.A.R. , Bolzano , sez. I , 02/11/2022 , n. 271).
Deve quindi ritenersi che, una volta disposta la proroga dell’affidamento di un servizio pubblico in appalto ai sensi e nei limiti di cui all’art. 106 comma 11 del d.lgs. 50/2016, fino alla scadenza del termine a tale scopo previsto già nel disciplinare e nel contratto (nel caso di specie, sei mesi), il termine possa essere differito ancora, laddove ciò sia strettamente necessario al completamento della gara (indetta nella pendenza della proroga originaria) secondo buona fede e ragionevolezza; in tal caso, il rapporto prosegue tra le parti agli stessi patti, salvo ricorrano le condizioni in presenza delle quali è possibile modificare i prezzi a mente dello stesso art. 106, commi da 1 a seguire.
Come accennato, siccome il fine – consentito dalla legge e convenuto tra le parti che lo contemplano nel contratto – della possibile proroga è quello di assicurare la copertura del servizio nelle more della indizione della nuova gara d’appalto, l’avveramento della relativa condizione dedotta quale termine di una possibile proroga va apprezzato secondo buona fede e ragionevolezza.
Nell’odierna fattispecie, non è dedotta una ragione di inerzia dell’Ente tale da far configurare il maggior tempo di durata dell’appalto della nuova aggiudicazione in termini di negligenza o comunque di fatto imputabile a responsabilità della Stazione Appaltante, tale da rendere quest’ultima obbligata ad indennizzare il gestore uscente di maggiori oneri contrattuali rispetto a quelli pattuiti (nei limiti del più volte richiamato art. 106 cod.appalti).