Questo quanto stabilito da Consiglio di Stato, Sez. III, 11/07/2023, n. 6797:
15.2 – Il TAR ha ritenuto che si sarebbe trattato di una variante sostanziale: tale affermazione non è corroborata da specifiche argomentazioni nella sentenza che tengano conto della specifica previsione recata dall’art. 106 cit.
A questo proposito è opportuno ricordare che la predetta disposizione richiede che la modifica non sia tale da alterare “la natura generale del contratto”: con tale nozione, infatti, il legislatore vuole impedire che attraverso il ricorso allo ius variandi si possa addivenire ad una modificazione radicale del contratto, riuscendo, surrettiziamente, ad eludere la disciplina del codice degli appalti.
La direttiva 24/2014/UE, al paragrafo 109 del “considerando”, chiarisce tale nozione con alcuni esempi: si verifica “la variazione della natura generale dell’appalto, sostituendo i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto con qualcosa di diverso”, oppure quando vi sia “un cambiamento sostanziale del tipo di appalto poiché, in una situazione di questo genere, è possibile presumere un’influenza ipotetica sul risultato”.
Tale stravolgimento del contratto non è riscontrabile nel caso di specie: la variazione, infatti, non investe la natura complessiva del contratto, che prevedeva, fin dall’inizio, la prestazione di lavori e di servizi (con prevalenza dei secondi); per effetto dello ius variandi l’oggetto della prestazione (servizio di ristorazione in favore dei pazienti e del personale sanitario afferenti ai presidi ospedalieri della ……) non è mutato, la variazione si riferisce alle sole modalità di esecuzione del servizio di ristorazione (diverse modalità di preparazione dei pasti, utilizzazione di un punto di cottura differente, modificazione dell’organizzazione relativa ai trasporti dei pasti ai presidi sanitari) che ha richiesto, per la sua attuazione, lo svolgimento di lavori aggiuntivi da quelli che erano stati preventivati in origine, sicuramente più complessi e più onerosi per la stazione appaltante, che hanno comportato, anche, la modificazione dell’assetto organizzativo del servizio che, a sua volta, ha inciso sull’utilizzazione del personale da utilizzare nella sua gestione.
Come ha ricordato lo stesso TAR, la normativa nazionale e quella sovranazionale non impedisce in assoluto la modifica del contratto in sede di esecuzione, in quanto l’eccessivo “ingessamento” del contratto avente durata pluriennale può nuocere all’interesse delle parti, sia pubblica che privata, tenuto conto che è ragionevole ipotizzare che, nel lungo periodo, possono emergere circostanze sopravvenute, non prevedibili al momento dell’indizione della gara, tali da richiedere “aggiustamenti” in corso di esecuzione per garantire la migliore soddisfazione dell’interesse pubblico.
Lo stesso par. 106 del “considerando” della direttiva appalti afferma che “Le amministrazioni aggiudicatrici si trovano a volte ad affrontare circostanze esterne che non era possibile prevedere quando hanno aggiudicato l’appalto, in particolare quando l’esecuzione dell’appalto copre un periodo lungo. In questo caso è necessaria una certa flessibilità per adattare il contratto a tali circostanze, senza ricorrere a una nuova procedura di appalto”.