Nel respingere il ricorso il Tar Campania ricorda come l’elemento “costo del lavoro” sia composito e non debba essere considerato atomisticamente e rigidamente, ma vada valutato nel complesso dell’organizzazione imprenditoriale.
Questo quanto stabilito da Tar Campania, Salerno, Sez. I, 03/11/2023, n. 2460:
13. Con il primo motivo del ricorso introduttivo la ricorrente deduce l’insostenibilità dell’offerta dell’aggiudicataria, atteso che dalla divisione dell’importo dell’offerta economica (€ 381.935,561) per il numero minimo di ore lavorate previsto dalla legge di gara (n. 25.272) emerge un costo medio orario della manodopera, pari a € 15,11, nettamente inferiore a quello risultante dalla tabella ministeriale concernente un operaio inquadrato al II livello del CCNL, pari ad € 16,45.
13.1. La doglianza non ha pregio.
13.2. Giova premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in cui la censura si inscrive.
Per giurisprudenza costante, l’elemento “costo del lavoro” è composito e non deve essere considerato atomisticamente e rigidamente, ma va valutato nel complesso dell’organizzazione imprenditoriale, specie per imprese di notevoli dimensioni e ampia operatività che possono, quindi, compensare gli oneri derivanti da un maggior costo del lavoro con offerte qualitativamente migliori e soluzioni organizzative appropriate; a questo riguardo, si distingue tra “costo reale” – costituito da quanto dovuto dal datore di lavoro per il singolo lavoratore quale sia il numero di ore effettivamente lavorate – e “costo della specifica commessa“, il quale, per svariate ragioni, può essere inferiore al “costo totale reale“, vale a dire alla somma del costo reale di ogni singolo lavoratore (Cons. Stato, V, 18 dicembre 2017, n. 5939; 4 dicembre 2017, n. 5700), in quanto l’operatore economico mediante l’organizzazione dell’impresa può sempre realizzare economie di scala (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2018, n. 2951) che rendono il costo del lavoro offerto inferiore a quello di altro operatore pur a parità di ore lavorate, essendo vicenda normale che il costo del lavoro non sia uguale per tutte le imprese che partecipano alla stessa procedura di gara (ex plurimis, Consiglio di Stato, III, 15 marzo 2021, n. 2168).
In tale quadro, il concetto di “minimi salariali”, indicati nelle apposite tabelle ministeriali (cd. trattamento retributivo minimo), deve essere distinto da quello di “costo orario medio del lavoro” risultante dalle tabelle stesse. La demarcazione fra i due concetti si coglie nel fatto che quello di trattamento retributivo minimo ha carattere “originario”, in quanto viene desunto direttamente dal pertinente contratto collettivo nazionale e non abbisogna, per la sua enucleazione, di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo, mentre il concetto di “costo medio orario del lavoro” è il frutto dell’attività di elaborazione del Ministero, che lo desume dall’analisi e dall’aggregazione di dati molteplici e inerenti a molteplici istituti contrattuali.
Ne consegue che le tabelle redatte dal Ministero competente – esprimendo un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche – non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia: “sono consentiti motivati scostamenti dai valori indicati dalle tabelle ministeriali sul costo del lavoro che, come affermato dalla consolidata giurisprudenza, non possono costituire parametri inderogabili dal cui mancato rispetto possa essere automaticamente desunta l’inattendibilità dell’offerta economica, non potendo essi, nella loro formulazione statistica, considerare l’effetto di tutti i fattori di incidenza sul costo medio del lavoro, valore quest’ultimo per la cui determinazione tabellare si considerano le ore mediamente lavorate, che scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali le ore annue non lavorate, in parte predeterminabili in misura fissa, in altra parte suscettibili di variazione caso per caso” (Consiglio di Stato, sez. V, 22.11.2022, n. 10272), ferma restando la possibilità di considerare anormalmente basse le offerte che si discostino dai costi medi indicati nelle citate tabelle “qualora la discordanza sia considerevole ed ingiustificata” (Consiglio di Stato, sez. V, 22.11.2022, n. 10272 cit.);
13.3. Tanto premesso, nel caso di specie l’aggiudicataria ha enucleato nelle giustifiche una serie di elementi idonei a sostenere un’efficace riduzione del costo della manodopera, quali: l’impiego di personale in tirocinio o inserito nel piano Garanzia Giovani; la possibilità di godere di agevolazioni rispetto al tasso I.N.A.I.L., grazie al possesso di certificazione di qualità; il maggior numero di ore annue mediamente lavorate (rielaborate in base ai dati aziendali emergenti dai tabulati paghe dell’ultimo biennio, da cui emerge un minore utilizzo dei permessi per diritto allo studio e un inferiore tasso di assenteismo); il ricorso al lavoro supplementare per le sostituzione del personale assente.
Da quanto evidenziato lo scostamento, comunque non abnorme, rispetto alle tabelle ministeriali risulta congruamente giustificato; né la ricorrente ha segnalato carenze specifiche e di rilievo tale da sconfessare siffatta conclusione, essendosi limitata a censurare la mancata specificazione del numero di tirocinanti impiegati.
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti