Il Tar Lombardia, nel rigettare il ricorso avverso la revoca della concessione di impianto sportivo, ribadisce come, in considerazione della centralità del momento della «gestione», che prefigura come meramente strumentale l’affidamento del bene di proprietà pubblica, la gestione dell’impianto sportivo assuma i caratteri tipici di un servizio pubblico.
Questo quanto stabilito da Tar Lombardia, Milano, Sez. V, 04/01/2024, n. 26:
Sulla base di tali elementi, infatti, il Collegio ritiene il rapporto predetto sussumibile fra le concessioni di pubblici servizi.
Difatti, l’oggetto della procedura ha riguardato l’affidamento in concessione della Pista comunale di pattinaggio a rotelle (cfr. l’art. 3 del Bando), con previsione, a carico della concessionaria, della gestione e manutenzione della Pista e dei servizi accessori (ex art. 2 della Convenzione allegata al Bando), senza previsione di corrispettivo da parte della concessionaria «in quanto l’impianto sportivo è aperto al pubblico» (ex art. 4 della Convenzione). L’art. 7 della Convenzione ha, inoltre, previsto che: «… Alla concessionaria competeranno tutte le entrate derivanti dall’uso degli impianti in concessione con i limiti imposti all’interno del presente atto», mentre il successivo art. 12 ha precisato che: «Le tariffe sono riscosse dalla Concessionaria … devono essere pubbliche … È obbligo della concessionaria conformarsi a quanto stabilito dall’Amministrazione in materia di tariffe d’uso per la Pista di pattinaggio a rotelle di Via Beethoven …». A seguire, l’art. 14 ha elencato, fra gli “oneri” a carico del Comune, accanto alle spese per la manutenzione straordinaria, l’erogazione alla Concessionaria di un canone, in considerazione dei costi di gestione. Si tratta, stando all’art. 6 del Bando, di un “canone massimo”, rispetto al quale, nell’ambito dell’offerta economica, è previsto (all’art. 10 dell’Avviso), per la valutazione della convenienza economica della stessa, l’attribuzione fino ad un massimo di 10 punti per la «potenzialità di razionalizzazione del budget funzionale alla gestione dell’impianto, con attenzione alle capacità di riduzione dei costi fissi e del canone erogato dall’Amministrazione, anche in funzione della stabilizzazione delle tariffe».
Orbene, fermo quanto sopra, il Collegio reputa che, in considerazione della centralità del momento della «gestione», che prefigura come meramente strumentale l’affidamento del bene di proprietà pubblica, la gestione dell’impianto sportivo per cui è causa assume i caratteri tipici di un servizio pubblico [su cui cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 28-01-2021, n. 858; id., 18-08-2021, n. 5915, per cui: «Nel caso della gestione di impianti sportivi comunali si tratta, in particolare, di un servizio pubblico locale, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, per cui l’utilizzo del patrimonio si fonda con la promozione dello sport che, unitamente all’effetto socializzante ed aggregativo, assume in ruolo di strumento di miglioramento della qualità della vita a beneficio non solo per la salute dei cittadini, ma anche per la vitalità sociale della comunità (culturale, turistico, di immagine del territorio, etc.). Ne discende che, sotto il profilo considerato, l’affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici – appartenenti al patrimonio indisponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 826 del c.c., quando siano o vengano, come nella specie, destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive – non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura, per l’appunto, una concessione di servizi»; nonché, TAR Lazio, Roma, II S, 27-03-2023, n. 5246; TAR Lombardia, Milano, I, 24-02-2023, n. 485].
Difatti, giova ribadire che, stando alla giurisprudenza condivisa dal Collegio, gli impianti sportivi comunali «appartengono al patrimonio indisponibile del Comune, ai sensi dell’art. 826, ult. comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive, sicché, qualora tali beni siano dati in concessione a privati, restano devolute al giudice amministrativo le controversie sul rapporto concessorio, inclusa quella sull’inadempimento degli obblighi concessori e la decadenza del concessionario» (così, Consiglio di Stato, sez. II, 20 maggio 2022, n. 4007).
Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche alla fattispecie in esame, il Collegio ritiene che si sia in presenza di una concessione di servizi, riconducibile, ex art. 133, comma 1, lettera c) del c.p.a., anche nella fase successiva alla stipula del contratto, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr., in tal senso, ex multis Consiglio di Stato, V, 12-02-2020, n. 1064).
Né, d’altra parte, si ravvisano nella specie gli elementi dell’appalto di servizi, come adombrato da parte resistente, atteso che, da un lato, non v’è prova che si tratti di impianto privo di rilevanza economica e che il canone corrisposto dal Comune sia idoneo ad azzerare il cd. rischio operativo a carico del concessionario; e, dall’altro, il fatto che, su impulso del diritto euro-unitario, la differenza tra appalto e concessione si sia andata riducendo per effetto della loro comune riconduzione al genus del “contratto a titolo oneroso”, comunque non legittima una completa assimilazione tra i due istituti, specie in relazione alla fase esecutiva del rapporto.
A tal proposito, giova rimarcare che, soltanto nella concessione la pubblica amministrazione concedente, esplicando le sue funzioni di “vigilanza e controllo nei confronti del gestore” (sulle quali l’art. 133 estende la giurisdizione esclusiva), “svolge la sua attività autoritativa in funzione di regolazione del rapporto concessorio per tutta la sua durata, al fine di verificare costantemente la rispondenza dell’attività svolta dal concessionario ai canoni del servizio pubblico“; ed è “sempre in questa fase che si coglie, poi, quella commistione indissolubile tra posizioni giuridiche – di diritto soggettivo in capo al concessionario esecutore della prestazione ed esercizio di potere autoritativo in funzione di regolazione da parte dell’Amministrazione concedente – che rappresenta la ragione stessa della devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle questioni che sorgono in tale ambito” (così, Cons. Stato, III, 15-12-2022, n. 11000).
D’altra parte, la precisazione espressa dal legislatore – per cui sono da intendersi escluse dalla giurisdizione esclusiva in tema di concessioni (di beni o servizi) le (sole) dispute in materia di indennità, canoni ed altri corrispettivi -, vale a circoscrivere l’ipotesi ai soli casi che non interferiscano minimamente con la funzione regolatoria attribuita all’Amministrazione: funzione che, come chiarito dalla giurisprudenza, coinvolge direttamente l’interesse pubblico sotteso al rilascio della concessione, ovvero, costituisce il presupposto della continuità dell’erogazione del servizio e della qualità con la quale il medesimo viene espletato (cfr. Cons. Stato, V, 21-04-2023, n. 4086).
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sin qui delineato, quindi, l’eccezione è infondata e deve essere respinta appartenendo la controversia alla giurisdizione amministrativa.