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Sentenze

Accordo quadro bandito in vigenza del D.lgs 50/2016 , subappalto di contratto applicativo, principio del “tempus regit actum”

Le ditte ricorrenti, nella rispettiva veste di appaltatore e di subappaltatore designato, impugnano i provvedimenti con cui la stazione appaltante ha negato l’autorizzazione al subappalto in relazione a tre contratti applicativi dell’Accordo Quadro stipulato a giugno 2022.

I dinieghi si fondano sul disposto dell’art. 105, comma 4, let. a), del D.Lgs. n. 50/2016, nella versione vigente alla data di pubblicazione della lex specialis (12 luglio 2021), ossia sul fatto che l’impresa indicata come subappaltatrice., avendo partecipato alla gara finalizzata alla stipula dell’Accordo Quadro, non poteva essere designata come subappaltatrice.

Tar Marche, Sez. I, 16/05/2024, n. 464 accoglie il ricorso:

6. Nel merito, il Collegio, attenendosi al principio di sinteticità a cui debbono essere improntati gli atti processuali (tanto più se si tratta di una sentenza c.d. breve), osserva quanto segue.

6.1. Come è noto, la Corte di Giustizia U.E., anche di recente (si veda la sentenza del 20 aprile 2023, in causa C-348/22, relativa alla nota questione delle concessioni demaniali marittime) ha ribadito che l’obbligo di disapplicare il diritto interno confliggente con il diritto comunitario grava anche sulle amministrazioni pubbliche e non solo sui giudici nazionali. Tale principio, come è altrettanto noto, era stato ribadito anche nelle note e discusse sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021, nonché in varie decisioni di questo Tribunale (al riguardo si veda la citata sentenza n. 252/2020).

Pertanto, il fatto che all’epoca di indizione della presente gara fosse ancora vigente l’art. 105, comma 4, let. a), del D.Lgs. n. 50/2016 non rende di per sé legittimo l’operato di ….., in quanto se il divieto previsto dalla norma interna fosse apparso confliggente con il diritto sovranazionale l’amministrazione resistente aveva l’obbligo di disapplicarlo.

6.2. E che tale contrasto esistesse è indiscutibile, come ha efficacemente comprovato la difesa delle ricorrenti ricostruendo con precisione l’evoluzione normativa che, a partire dal D.L. n. 32/2019 (che aveva abrogato il divieto de quo con una disposizione che è stata però a sua volta espunta dalla legge di conversione), si è conclusa con l’espressa abrogazione della norma del Codice dei contratti pubblici ad opera dell’art. 10 della legge comunitaria n. 238/2021. Il fatto che l’abrogazione sia stata disposta con la c.d. legge comunitaria e che l’art. 10 sia rubricato “Disposizioni in materia di contratti pubblici. Procedura di infrazione n. 2018/2273” implica l’esplicito riconoscimento da parte del legislatore italiano dell’esistenza del contrasto fra l’art. 105, comma 4, let. a) del D.Lgs. n. 50/2016 e le direttive comunitarie sugli appalti (in effetti, la procedura di infrazione n. 2018/2273 riguardava anche il profilo che viene in rilievo nel presente giudizio).

Tuttavia, come è accaduto anche per altri limiti al subappalto previsti dal D.Lgs. n. 50/2016, il legislatore del 2021 è stato eccessivamente “timido”, avendo posticipato l’entrata in vigore di varie disposizioni finalizzate a rendere la normativa interna sul subappalto finalmente conforme alle c.d. direttive appalti del 2014 (sul punto si veda anche la sentenza di questo T.A.R. n. 206/2022, relativa al limite del 30%. Al riguardo va dato atto che la sentenza è stata riformata dal Consiglio di Stato, ma non sullo specifico punto).

In effetti, l’art. 10, ultimo comma, della L. n. 238/2021 stabilisce che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi con i quali si indice una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi”, ma tale disposizione è priva di qualsiasi giustificazione, visto che, se il contrasto con il diritto comunitario sussisteva, esso andava eliminato con effetto immediato. Va infatti ricordato che il contrasto fra diritto interno e diritto comunitario, se esiste, esiste ab origine, del che costituisce una riprova la circostanza che le sentenze “interpretative” della C.G.U.E. giuridicamente hanno effetto ex tunc, ossia dichiarano quale avrebbe dovuto essere sin dall’origine la corretta esegesi della norma comunitaria.

6.3. Le predette considerazioni potrebbero essere però superate alla luce del principio tempus regit actum, il quale, a certe condizioni, impedisce di ledere il legittimo affidamento dei concorrenti che hanno partecipato ad una procedura ad evidenza pubblica confidando sulla lettera del bando e sulla legge nazionale vigente in quel momento. Tuttavia, e premesso che la questione del rapporto fra il principio in commento e il diritto sovranazionale appare molto più complessa rispetto ad analoghe vicende che coinvolgono solo il diritto interno (come nel caso, ad esempio, di contrasto fra norma statale e norma regionale, o fra legge ordinaria e norme costituzionali) – per cui tale questione dovrebbe essere sottoposta all’esame della C.G.U.E. – nella specie il principio tempus regit actum non poteva trovare applicazione, e ciò per le seguenti ragioni.

In primo luogo, perché nel caso odierno non viene in rilievo la tutela della par condicio competitorum, essendosi nella fase esecutiva del contratto e non essendo previsto nel disciplinare di gara, come già detto, l’obbligo dei concorrenti di indicare già in sede di offerta i nominativi dei subappaltatori. Non si comprende dunque in che modo gli operatori economici che hanno partecipato alla gara potrebbero essere lesi dal fatto che xxx venga autorizzato a subappaltare una parte dei lavori ad yyy.

Pertanto, essendo ancora possibile per ….. eliminare il vulnus arrecato al diritto comunitario dal divieto qui contestato, tale divieto andava disapplicato nella fase di esecuzione dell’Accordo Quadro

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