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Ora, da tali, pur succinte, indicazioni non può che trarsi, quale immediata e naturale conseguenza, che l’omissione dichiarativa dell’odierna controinteressata nell’ambito della procedura di gara oggetto dell’odierno contendere sia stata non soltanto ingiustificata, ma, soprattutto, inopinatamente rischiosa.
Al riguardo, la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia U.E., 19 giugno 2019, causa C-41/18) si è recentemente pronunciata sull’art. 57, paragrafo 4 della Direttiva 2014/24/UE (“motivi di esclusione”), osservando che “le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere (…) oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni: (…) c) se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità; (…) g) se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, di un precedente contratto di appalto con un ente aggiudicatore o di un precedente contratto di concessione che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili”.
In particolare, il Giudice comunitario ha statuito che “il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto appartiene alle amministrazioni aggiudicatrici e non a un giudice nazionale”, e ciò sul presupposto che “la facoltà di cui dispone qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di appalto è destinata in modo particolare a consentirle di valutare l’integrità e l’affidabilità di ciascuno degli offerenti”.
Tali statuizioni consentono di dare compiutezza interpretativa alla disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del D.lgs. 50/2016, delineandosi una lettura, comunitariamente orientata, di tale norma nel senso che non è da ritenere conforme all’ordinamento dell’Unione europea la limitazione della “facoltà” (si direbbe a questo punto esclusiva) della stazione appaltante di escludere da una procedura d’appalto un operatore economico.
Il che, tuttavia, si traduce nell’obbligo, gravante sui concorrenti, di sottoporre preventivamente alla medesima stazione appaltante qualsiasi circostanza suscettibile di essere valutata quale grave illecito professionale, non potendosi, di contro, ammettere una valutazione autonoma, come nel caso, di aprioristica autoassoluzione.
Il crocevia della valutazione non è, dunque, da individuarsi nella ritenuta (ed eccepita) irrilevanza della subìta revoca ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui alla predetta norma del codice dei contratti, bensì nella mancata indicazione di tale vicenda e nella conseguente impossibilità, per l’Amministrazione, di valutare consapevolmente l’affidabilità della concorrente.
Un’impostazione, quest’ultima, che trova riscontro nella giurisprudenza che riconosce “in capo alla stazione appaltante un potere di apprezzamento discrezionale in ordine alla sussistenza dei requisiti di “integrità o affidabilità” dei concorrenti: costoro, al fine di rendere possibile il corretto esercizio di tale potere, sono tenuti a dichiarare qualunque circostanza che possa ragionevolmente avere influenza sul processo valutativo demandato all’amministrazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 24 settembre 2018, n. 5500; id., 12 marzo 2019, n. 1649).
L’omissione dichiarativa ha, perciò, impedito l’attivazione della (facoltà, anche se più correttamente definibile) potestà della stazione appaltante di dimostrare “con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”: incombente da contestualizzare tempestivamente nell’ordinaria sede dell’esame e della verifica dei requisiti generali, non già, irritualmente, nell’ambito del suprocedimento di anomalìa dell’offerta.
La potestà di apprezzamento cui più sopra si è fatto cenno è stata, in radice, preclusa alla centrale unica di committenza per effetto di un’omissione dichiarativa che, invero, è emersa ed è stata presa, quindi, in esame soltanto nella sede – postuma e tardiva – del subprocedimento di verifica di anomalìa facoltativa (dopo il positivo esperimento del procedimento di verifica di anomalia obbligatoria) e, soprattutto, soltanto a seguito della notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio da parte della società Innotec.
Il recupero di tale contraddittorio è stato attuato sulla falsariga di un inammissibile soccorso istruttorio, come ha ammesso la difesa comunale nella memoria del 26.8.2019 (“l’Amministrazione resistente (…) ha fatto corretta applicazione del c.d. “soccorso istruttorio”, al fine di rimediare, come nel caso, ad incompletezze e/o irregolarità di informazioni e documenti”, cfr. pag. 14); non è, di contro, persuasiva la posizione negatoria della controinteressata, ad avviso della quale la stazione appaltante non avrebbe posto in esser alcun soccorso istruttorio, avendo, piuttosto, “meramente chiesto all’aggiudicatario di “rendere note le proprie controdeduzioni” in merito alle censure del R.T.I. Innotec” (cfr. memoria del 21.10.2019, pag. 32).
L’accoglimento del quarto motivo implica che l’ATI controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura controversa e comporta l’annullamento della conferma dell’aggiudicazione definitiva, impugnata con i motivi aggiunti; quale obbligo conformativo, la stazione appaltante è tenuta a procedere allo scorrimento della graduatoria disponendo l’aggiudicazione alla società ricorrente, previo espletamento dei controlli e delle verifiche di legge.
In conclusione, il ricorso principale e i motivi aggiunti devono essere accolti.
La complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese processuali.
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Tar Puglia, Bari, Sez. I, 18/ 11/ 2019, n. 1513