Contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura: le maglie si allargano…E si evidenzia il contrasto tra la III e la V Sezione del Consiglio di Stato…
Come noto l’art. 105, c. 3, lett. c-bis) statuisce che
non costituiscono subappalto le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto.
La giurisprudenza ha da subito dato una lettura restrittiva dell’istituto.
Il Consiglio di Stato (sez. V, 27 dicembre 2018 n. 7256) ha infatti già avuto modo di sottolineare che
Le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura (ora, come detto, espressamente così definite dall’art. 105, comma 3, lett. cbis) del codice) sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest’ultimo come avviene nel caso del subappalto (che, non a caso è definito dall’art. 105, comma 2, come “Il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”).
E con analogo tenore Tar Lazio, Roma, sez. III, 29 gennaio 2019, n. 1135 ha statuito
l’esclusione alla nozione di subappalto operata dalla lett c-bis del comma 3 dell’art. 105 del decreto legislativo n. 50\2016, debbono essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto, pena una “vistosa la deviazione rispetto al principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto, in assenza di alcuna forma di tutela degli interessi pubblici immanenti nell’aggiudicazione ed esecuzione di un appalto; per cui non potrebbe non dubitarsi seriamente della congruenza della norma con le disposizioni comunitarie e financo costituzionali incidenti sulla materia”.
Con toni più edulcorati si veda infine Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 06 dicembre 2018, n. 2583:
ritiene il collegio che le prestazioni a cui fa riferimento la lett c-bis del comma 3 dell’art. 105 in questione, debbano essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto; diversamente opinando sarebbe talmente vistosa la deviazione rispetto al principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto, in assenza di alcuna forma di tutela degli interessi pubblici immanenti nell’aggiudicazione ed esecuzione di un appalto, che non potrebbe non dubitarsi seriamente della congruenza della norma con le disposizioni comunitarie e financo costituzionali incidenti sulla materia(Ehmmm. ma è la disciplina italiana che prevede limitazioni al subappalto a costituire una deviazione ai principi eurounitari! n.d.r.).
Nel caso scrutinato la pronuncia in primo grado (Tar Emilia Romagna, Sez. II, 04 marzo 2019, n. 221) non condivideva siffatto restrittivo orientamento
“secondo cui le prestazioni cui fa espresso riferimento la norma predetta dovrebbero essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie – il quale non ha alcun riscontro testuale nella norma e si risolve pertanto in una inammissibile interpretazione sostanzialmente abrogante della norma medesima“.
La terza Sezione del Consiglio di Stato si scontra con la quinta Sezione, e condivide la tesi del giudice di prime cure.
Secondo il Collegio non è possibile “circoscrivere l’utilizzazione dell’istituto, come preteso dalla parte appellante, con riferimento alle prestazioni “secondarie” e/o “sussidiarie”, ovvero a quelle non direttamente rivolte alla stazione appaltante e non coincidenti contenutisticamente con la prestazione dedotta in contratto: prestazioni che, anche a prescindere dalla previsione suindicata, sarebbero state comunque e legittimamente acquisibili ab externo dal soggetto affidatario, rivolgendosi ai propri fornitori, indipendentemente dall’epoca di stipula dei relativi contratti e senza essere tenuto al deposito degli stessi presso la stazione appaltante.
Del resto, l’istituto de quo, proprio perché si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto, è evidentemente ancorato ai medesimi presupposti applicativi, a cominciare dalla determinazione contenutistica della prestazione eseguibile mediante il ricorso all’impresa “convenzionata”.
In tale ottica, il riferimento della disposizione alle “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” non assume valenza restrittiva (della portata applicativa della previsione), come avverrebbe se si ritenesse che esso implica la necessità che l’utilità della prestazione ridondi ad esclusivo vantaggio, in senso materiale, dell’impresa affidataria (piuttosto che dell’Amministrazione), ma allude alla direzione “giuridica” della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante, anche agli effetti della connessa responsabilità, è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario.
Applicando le citate coordinate ermeneutiche alla fattispecie oggetto di giudizio, non può non osservarsi che il requisito de quo, connesso alla disponibilità di una “sede operativa” avente le indicate caratteristiche geografiche e destinata alla esecuzione del servizio oggetto di affidamento, si presta astrattamente ad essere garantito mediante un “contratto continuativo di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritto in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto”, ai sensi della disposizione citata”.
Per noi il ragionamento non fa una piega, e che si incornici la pronuncia Consiglio di Stato, sez. III, 18 luglio 2019, n. 5068
A cura di Elvis Cavalleri – Giurisprudenza e appalti