E’ pervenuto dall’Avvocato Fabrizio Colagiacomi, che ringrazio di cuore anche a nome di Elvis Cavalleri, un significativo commento sulla Sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2087 del 11.03.2021, con la quale si aggiorna l’interpretazione dell’art. 257-ter del regolamento di esecuzione del TULPS. Si pubblica dunque volentieri quanto ricevuto.
di Avv. Fabrizio Colagiacomi
Vorrei segnalare la sentenza del Consiglio di Stato n. 2087 del 11.03.2021, la quale accoglie parzialmente l’appello proposto avverso la sentenza n. 5961/2019 del Tar per la Campania.
La questione sottostante riguarda la revoca della duplice aggiudicazione di una gara indetta da R.F.I. per l’affidamento dei servizi di bonifica ordigni esplosivi e guardiania propedeutici ai lavori di raddoppio ferroviario della linea Napoli-Bari, divisi in due lotti territoriali, per un valore totale di euro 5.784.620,73.
Il duplice affidamento era avvenuto a favore di un’ATI, la cui mandante veniva colpita da interdittiva antimafia, tra le more dell’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto.
La stazione appaltante attivava quindi la procedura ex art 48, comma 18 del D.Lgs. 50/2016, che prevede espressamente la possibilità di sostituire la mandante, colpita da uno degli eventi patologici ivi tassativamente individuati.Di analogo tenore è peraltro la disposizione dell’art. 95, comma 1, D.Lgs. 159/2001, la quale prevede che, se l’interdittiva prefettizia colpisce un’impresa diversa dalla mandataria, gli effetti dell’informazione antimafia non si estendono nei confronti delle altre imprese partecipanti “quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto”.
La mandataria indicava quindi una nuova mandante, la quale, pur avendo ottenuto la licenza prefettizia relativa ad un ambito territoriale, comunicava solo allora l’intenzione di estenderla anche alla Provincia interessata dai servizi.
RFI revocava dunque le aggiudicazioni di entrambi i lotti ritenendo che la mandante dovesse possedere il requisito della licenza prefettizia estesa all’ambito territoriale richiesto, sin dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, o quantomeno dal momento in cui la precedente mandante era stata colpita da interdittiva antimafia.
L’ATI ricorre al Tar per la Campania, ma questi da ragione alla stazione appaltante, ritenendo applicabile il principio per cui i concorrenti devono conservare con continuità il possesso dei requisiti richiesti in gara.
A giudizio dell’ATI, però, l’assunto argomentativo su cui poggia la sentenza di primae curae non risulta coerente con la normativa di settore, e propone appello.
E l’appello viene accolto, e il Consiglio di Stato nel riformare la sentenza ci spiega che nel caso di sostituzione della mandante, ai sensi dell’art. 48, comma 18, del Codice dei contratti pubblici, i requisiti di idoneità per l’esecuzione del contratto vanno verificati a far data dal subentro della nuova mandante nell’ambito del raggruppamento.
Il comma 18 – la cui portata è estesa alla fase di gara ex comma 19 ter – pone infatti una chiara deroga al principio di continuità, tanto che non è previsto il momento in cui si deve accertare il possesso dei requisiti da parte dell’operatore economico subentrante che, per evidenti ragioni logiche dovrà – ragionevolmente – essere preteso (nei confronti della mandante subentrante) solo dalla data del subentro.
R.F.I. avrebbe dovuto quindi consentire la sostituzione della mandante.
Ciò posto, viene affrontato il problema della portata territoriale della licenza prefettizia per l’esercizio dei servizi di vigilanza, ed in specie se questa, al momento in cui viene rilasciata, ha un’efficacia limitata alla Provincia per la quale viene inizialmente richiesta, oppure ha già una valenza nazionale.
Occorre dunque interpretare l’art. 257-ter del regolamento di esecuzione del TULPS.
Al riguardo, va detto che fino ad oggi (rectius ieri) l’interpretazione seguita dalle Prefetture (e fatta propria anche da RFI e dal primo giudice) era quella di ritenere la licenza limitata territorialmente, fino a quando l’interessato non avesse presentato apposita istanza, e il Prefetto rilasciato un provvedimento di assenso, in maniera espressa o per silenzio assenso allo scadere del termine di novanta giorni.Diversamente, la difesa dell’ATI sosteneva che tale conclusione fosse in aperto contrasto con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’U.E., con la sentenza del 13 dicembre 2007 (in causa C-465/05).
La disposizione, infatti, non fa menzione di alcuna richiesta da presentare al Prefetto, tanto meno prevede che all’esito della procedura venga rilasciato un provvedimento di autorizzazione o di ampliamento della sfera giuridica dell’operatore.
Per il primo aspetto, quel che si chiede è una mera “notifica”, dal ricevimento della quale il Prefetto ha novanta giorni per eventualmente disporre il “divieto” ovvero la “sospensione” o la “revoca” della licenza.
Solo questo eventuale contarius actus ha carattere costitutivo, in senso riduttivo della sfera giuridica dell’interessato.
Risulta perciò errata la premessa sulla quale la sentenza appellata fonda le sue conclusioni, ossia che la <<La norma, nell’impedire l’inizio dell’attività prima che siano decorsi 90 giorni dalla notifica della documentata richiesta (termine entro il quale il Prefetto può chiedere chiarimenti e vietare l’attività), riconosce al positivo esperimento di tale procedura un valore senz’altro costitutivo>>.
Il Consiglio di Stato accoglie anche questo motivo, affermando che una volta ottenuta la licenza, questa ha una validità nazionale, e non necessita di una ulteriore autorizzazione; piuttosto, compete al Prefetto attivare i controlli necessari, con obbligo di concludere il procedimento entro novanta giorni dalla notifica del richiedente di voler esercitare la vigilanza anche in un’altra provincia.
Se in detto termine la Prefettura non chiude il procedimento con un provvedimento negativo espresso, id est un “contrarius actus” che ne provochi una soluzione di continuità della licenza, questa conserva la caratteristica di essere già ab origine valida per tutto il territorio nazionale.
Diversamente, ci spiegano i giudici di Palazzo Spada, si reintrodurrebbe quel limite territoriale (censurato dalla Corte di Giustizia) secondo cui la licenza prefettizia consentirebbe di esercitare l’attività di vigilanza privata solo nel territorio per il quale essa è stata rilasciata (cfr. punti 68-80 della sentenza della Corte).
Si impone, pertanto, la correzione in sede interpretativa (o, meglio, la parziale disapplicazione per il contrasto con il diritto unionale) dell’art. 257-ter, comma 5, cit., eliminando la necessità di ottenere (anche se con il meccanismo del silenzio-assenso) l’autorizzazione prefettizia per estendere l’attività in altre province; e intendendo la «notifica al prefetto» come una comunicazione di inizio attività, non subordinata al decorso dell’ulteriore termine di novanta giorni, salvo il potere del prefetto di inibire l’attività entro il predetto termine di novanta giorni dalla notifica «qualora la stessa non possa essere assentita, ovvero ricorrano i presupposti per la sospensione o la revoca della licenza, di cui all’articolo 257- quater» (art. 257-ter, comma 5, ultimo periodo, del regolamento di esecuzione del TULPS).
La sentenza è ulteriormente caratterizzata e impreziosita dal pronunciamento su un’altra questione di rilevante interesse giuridico.
Nel caso di specie, l’appellante aveva proposto in un precedente giudizio l’azione di annullamento avverso i medesimi atti oggetto del giudizio in esame e per i medesimi motivi dedotti nuovamente con il ricorso deciso con la sentenza impugnata.
Motivi che, secondo il giudice d’appello non possono essere riproposti, per effetto del divieto di ne bis in idem.E fino a questo punto nulla quaestio.
Solo che, come (ri)conosciuto dal Collegio, il precedente giudizio non aveva affatto esaminato i motivi di impugnazione oggi riproposti, neanche incidenter tantum, e aveva accolto il ricorso presentato dall’ATI esclusivamente in base ad un’altra ragione.Il Consiglio di Stato ha comunque ritenuto si fosse formato un giudicato implicito, contrariamente all’indirizzo espresso dalla Corte di Cassazione a sezioni unite che, invece, afferma che quando la precedente decisione si fonda sulla ragione cd. “più liquida” – per cui il primo giudice non abbia in alcun modo scrutinato gli aspetti riproposti – tale pronuncia non è idonea a creare giudicato in parte qua (ex plurimis, Cass. civ. sez. II, del 8 aprile 2016, n. 6931, Cassazione Sezioni Unite, sentenza n. 26242 del 12/12/2014 e n. 26243 del 12/12/2014).
La sentenza si conclude quindi con l’accoglimento delle ragioni dell’ATI solo in riferimento all’aggiudicazione di un lotto, con conseguente declaratoria di inefficacia del contratto stipulato e condanna di R.F.I. a risarcire l’ATI per equivalente al lucro cessante per la parte dell’accordo quadro relativo al lotto non eseguita dall’appellante fino al subentro.
Una decisione, quella riportata, destinata a costituire un fondamentale precedente per tutti gli aspetti trattati.
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti