RTI viene escluso perché ritenuto carente dei requisiti richiesti dal Bando.
Le imprese componenti il RTI hanno un’attività pregressa che si identifica, rispettivamente, in servizi di vigilanza non armata, ed in Servizi di portierato centri commerciali, ipermercati e/o strutture commerciali e industriali in genere, in entrambi i casi identificata dal codice Ateco 80.1 e risultano professionalmente qualificati in attività di vigilanza e portierato, entrambe espressione di una vigilanza che si configura prevalentemente come controllo degli accessi con registrazione e verifica degli ospiti e in collegamento con servizi di sicurezza e videosorveglianza, attività di norma rientranti in servizi inerenti la gestione di immobili, ed in cui l’aspetto relazionale è principalmente funzionale alla finalità di controllo, a garanzia del rispetto di ambiti, spazi e distanze.
Le suddette attività primarie e secondarie non risultano comprensive delle attività di accoglienza e reception, né coerenti o assimilabili alle attività di accoglienza e reception, che si caratterizzano invece per la preminente importanza dell’espetto relazionale e che qualificano l’ appalto, il cui oggetto, inteso come il complesso delle prestazioni richieste all’appaltatore, è stato classificato nel CPV 79992000-4 “servizi di accoglienza”.
Il Tar accoglie il ricorso avverso l’esclusione.
La stazione appaltante sostiene l’erroneità di tale conclusione, dal momento che una cosa è il requisito di idoneità professionale di cui all’art. 83, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50 del 2016, che può essere provato unicamente attraverso le risultanze dell’iscrizione alla CCIAA, un’altra è la prova delle capacità tecniche e professionali di cui alla lett. c) del medesimo art. 83, comma primo, che può essere fornita anche con lo svolgimento di attività analoghe.
L’errore su cui poggia la sentenza impugnata consisterebbe quindi nel negare autonoma rilevanza al requisito della idoneità professionale di cui all’art. 83, comma primo, lett. a) e comma 3 del d.lgs. n. 50 del 2016 (nonché ex art. 8, par. 8.1, del disciplinare di gara), con l’effetto di farlo coincidere con quello (in realtà diverso) di capacità tecnica e professionale di cui all’art. 83, comma primo, lett. c), e comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016 (ed art. 8, par. 8.3, del disciplinare di gara).
Consiglio di stato, Sez. V, 19/01/2023, n. 657 ribalta il primo grado ed accoglie l’appello:
Le considerazioni dell’appellante meritano accoglimento.
L’art. 83, comma primo del d.lgs. n. 50 del 2016 individua, in via esclusiva, tre distinti ed autonomi criteri di selezione degli operatori economici:
– “a) i requisiti di idoneità professionale”,
– “b) la capacità economica e finanziaria”;
– “c) le capacità tecniche e professionali”.
In merito ai “requisiti di idoneità professionale” l’art. 83, comma 3, stabilisce che i concorrenti “devono essere iscritti nel registro della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura […]”; quanto invece alle distinte “capacità tecniche e professionali”, il successivo comma 6 prevede invece che le stazioni appaltanti possano richiedere “requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e le esperienze necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità”.
Ciò premesso, ritiene il Collegio di dover dare continuità al consolidato orientamento – dal quale non vi è ragione di discostarsi, nel caso di specie – in base al quale (ex multis, Cons. Stato, V, 27 maggio 2021, n. 4098) deve distinguersi “tra il requisito dell’idoneità professionale e i requisiti esperienziali richiesti a dimostrazione della capacità tecnico-professionale dell’operatore. E’ indubbio che l’iscrizione alla Camera di Commercio costituisca requisito d’idoneità professionale (art. 83, commi 1 e 3, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50) […] nondimeno il pregresso effettivo svolgimento dell’attività (con i relativi risultati), così nell’ambito degli appalti pubblici come in quello dell’affidamento delle concessioni demaniali, è requisito di capacità tecnico-professionale, che l’amministrazione può richiedere sia variamente provato attraverso l’allegazione delle precedenti esperienze professionali”.
La stessa “necessità di tenere distinto il requisito di idoneità professionale da quello di capacità economico-finanziaria dell’operatore” viene ribadita da Cons. Stato, V, 18 gennaio 2021, n. 508, che evidenzia come “La giurisprudenza ha chiarito, con orientamento pressoché costante (sin da Cons. di Stato, V, 19 febbraio 2003, n. 925), che oggetto sociale e attività effettivamente esercitata non possono essere considerati come concetti coincidenti […] attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da svolgere; il che esclude la possibilità di prendere in considerazione, ai fini che rilevano nella fattispecie, il contenuto dell’oggetto sociale, il quale – ancorché segni il campo delle attività che un’impresa può astrattamente svolgere, sul piano della capacità di agire dei suoi legali rappresentanti – non equivale, però, ad attestare il concreto esercizio di una determinata attività […] un costante indirizzo giurisprudenziale ritiene che l’attività per la quale l’impresa risulta iscritta al registro, deve essere identificata con quella qualificante dell’impresa nei confronti dei terzi, il che non può che riferirsi all’attività principale effettivamente svolta, ossia a quella che denota l’esperienza specifica dell’impresa nel relativo settore di attività (ex multis, Cons. Stato, V, 18 gennaio 2016 n. 120; IV, 2 dicembre 2013 n. 5729).
Ed infatti, ai sensi dell’art. 2193 c.c. (“Efficacia dell’iscrizione”) «I fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza».
Ciò posto, come evidenziato, una giurisprudenza altrettanto uniforme avverte, altresì, che ai fini in discussione non può giovare il fatto della mera contemplazione di un’attività nell’oggetto sociale. […] La giurisprudenza ha, dunque, affermato che l’individuazione ontologica della tipologia di azienda può avvenire solo attraverso l’attività principale o prevalente, in concreto espletata e documentata dall’iscrizione alla Camera di Commercio, non rilevando quanto riportato nell’oggetto sociale […]
Tali principi si desumono dal quadro normativo applicabile in materia di iscrizione nel registro delle imprese (cfr. in particolare, art. 2188 c.c.; art. 8 della L. 28 dicembre 1993, n. 580; D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, recante il regolamento di attuazione del detto art. 8; D.M. del Ministero Sviluppo Economico, pubblicato in G.U.R.I. n. 260/13 S.O. n. 76, laddove dispone che ogni impresa che eserciti un’attività sul territorio nazionale deve sempre dichiarare la propria attività prevalente d’impresa, indicando, per ogni descrizione di attività la data di riferimento, ovvero di effettivo inizio, modifica, cessazione, nonché la descrizione dell’attività primaria e dell’eventuale attività secondaria “effettivamente esercitata”)”.
In termini ancor più diretti, Cons. Stato, III, 11 agosto 2021, n. 5851 ribadisce che “l’iscrizione camerale è assurta a requisito di idoneità professionale (art. 83, comma 1, lett. a), e 3, D.Lgs. n. 50 del 2016), anteposto ai più specifici requisiti attestanti la capacità tecnico professionale ed economico-finanziaria dei partecipanti alla gara di cui alle successive lettere b) e c) del medesimo comma: la sua utilità sostanziale è infatti quella di filtrare l’ingresso in gara dei soli concorrenti forniti di una professionalità coerente con le prestazioni oggetto dell’affidamento pubblico.
Pertanto, da tale ratio delle certificazioni camerali, nell’ottica di una lettura del bando che tenga conto della funzione e dell’oggetto dell’affidamento, si è desunta la necessità di una congruenza o corrispondenza contenutistica, tendenzialmente completa, tra le risultanze descrittive della professionalità dell’impresa, come riportate nell’iscrizione alla Camera di Commercio, e l’oggetto del contratto d’appalto, evincibile dal complesso di prestazioni in esso previste: l’oggetto sociale viene così inteso come la “misura” della capacità di agire della persona giuridica, la quale può validamente acquisire diritti ed assumere obblighi solo per le attività comprese nello stesso, come riportate nel certificato camerale (Consiglio di Stato sez. V, 15/11/2019, n.7846; Cons. di Stato, V, 7 febbraio 2012, n. 648; IV, 23 settembre 2015, n. 4457).
Quando, dunque, il bando richiede il possesso di una determinata qualificazione dell’attività, sia pure utilizzando il generico riferimento ad “attività attinenti all’oggetto di appalto”, quest’ultima va intesa in senso strumentale e funzionale all’accertamento del possesso effettivo del requisito soggettivo di esperienza”.
Deve conclusivamente ribadirsi, alla luce del dato normativo vigente, che se il requisito della “capacità tecnica e professionale” (di cui all’art. 83, commi primo, lett. c) e 6 d.lgs. n. 50 del 2016) può essere provato con una pluralità di mezzi (ai sensi degli artt. 83, comma 6 ed 86, commi 4 e 5, nonché dell’allegato XVII del d.lgs. n. 50 del 2016), per contro la “idoneità professionale” può essere dimostrata esclusivamente attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese (nel quale sono indicate l’attività prevalente e quella secondaria), ai sensi dell’art. 83, commi primo, lett. a), e 3, d.lgs. n. 50 del 2016.
Se dunque l’attività rilevante ad integrare il requisito dell’idoneità professionale è solo quella che risulta dal registro delle imprese, nell’eventualità che quest’ultima non sia coerente con quanto richiesto dalla legge di gara non potrà farsi riferimento, in via sussidiaria, a quella di cui viene richiesta la prova ai fini delle diverse “capacità tecniche e professionali” di cui all’art. 83, commi primo, lett. c) e 6, del d.lgs. n. 50 del 2016; analogamente non rileva, sempre ai fini del requisito di idoneità professionale, l’eventuale diversa indicazione dell’oggetto sociale riportata nello statuto dell’ente, così come – per restare al caso attualmente in esame – il contenuto della parte IV, Sezione C, punto 1b), e dell’allegato 2, del DGUE.
Sulla scorta di tali premesse devono quindi accogliersi i rilievi dedotti dall’appellante circa l’incoerenza tra l’attività di “vigilanza non armata” di cui all’iscrizione CCIAA di xxxx s.r.l. ed i servizi che formavano invece oggetto dell’appalto per cui è causa (in termini, già Cons. Stato, V, 6 agosto 2019, n. 5574 evidenziava come il contratto collettivo “vigilanza privata e servizi fiduciari” applicato da xxxx s.r.l. si applica al personale che svolge “attività di vigilanza e custodia in senso stretto” e “custodia e sorveglianza dei siti”, da ritenersi però strutturalmente diverse da quelle puntualmente individuate all’art. 2 del capitolato).
A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti