Secondo le istanti l’impresa avrebbe perduto in corso di gara la continuità nel possesso del requisito di regolarità contributiva.
La stazione appaltante ha negato l’accesso agli atti richiesti dalla parte ricorrente, ed il Tar ha respinto il ricorso perché la parte interessata non aveva specificato né la concreta necessità di utilizzo della documentazione, né prospettato l’intento di intraprendere azioni in sede giudiziaria, con conseguente assenza del “…nesso di strumentalità tra documentazione – oggetto di istanza di accesso – e necessità di potersi difendere in giudizio con riferimento agli interessi della stessa impresa ricorrente, quale partecipante alla procedura di gara pubblica il cui esito è controverso (Consiglio di Stato sentenza n. 6083 del 2018).
Consiglio di Stato, Sez. III, 24/05/2023, n. 5120 ribalta il primo grado:
10. L’appello è fondato.
11. La sentenza impugnata ha ritenuto che l’odierna appellante non abbia dimostrato alcuna esigenza difensiva sottesa all’acquisizione della documentazione richiesta.
Le argomentazioni poste dal primo giudice per escludere l’interesse difensivo dell’appellante non risultano condivisibili.
11.1. Osserva, in proposito, il Collegio che l’iter motivazionale del primo giudice per escludere la sussistenza di un interesse “difensivo” giuridicamente rilevante, è incentrato essenzialmente sulla ritenuta insussistenza di un giudizio già pendente, nonché sull’impossibilità per l’istante di poterlo avviare, dovendosi ormai ritenere spirati i termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione disposta in favore delle controinteressate.
Detto ordine di idee non è condiviso dal Collegio.
11.2. Una siffatta conclusione sarebbe stata in realtà certamente fondata, laddove si fosse trattato di istanza avente a oggetto i contenuti dell’offerta tecnica o economica dell’aggiudicataria, ma non lo è nel momento in cui – come in fatto avvenuto – essa riguardava atti relativi alla fase amministrativa della procedura di aggiudicazione e, in particolare, quelli relativi alla verifica del possesso dei requisiti generali in capo all’aggiudicataria.
Ed invero, la più restrittiva disciplina dell’accesso difensivo posta dall’articolo 53, comma 6, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, trova applicazione, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa appellata, nei soli casi di cui al precedente comma 5, lettera a): vale a dire nelle ipotesi in cui l’accesso possa essere di pregiudizio a segreti tecnici e commerciali, ossia esigenze di tutela del know-how.
Al di fuori da tali ipotesi, la regola generale di cui all’articolo 24, comma 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241, non può che ritrovare nuova linfa, riespandendosi, come ha avuto modo di chiarire recentemente la giurisprudenza consolidata (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 18 marzo 2021, n. 4).
11.3. Se così è evidente che il collegamento tra la situazione legittimante e la documentazione richiesta, impone un’attenta analisi della motivazione che la pubblica amministrazione ha adottato nel provvedimento che nella specie ha respinto l’istanza di accesso.
Ne consegue che nell’ipotesi all’esame malgrado sia incontestatamente decorso il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione, l’interesse dell’odierna appellante a conoscere i documenti oggetto di richiesta di accesso, ben poteva essere motivato con altre e più generiche esigenze difensive, quali ad esempio la presentazione di una segnalazione all’ANAC, come nella specie è avvenuto. Infatti dalla semplice lettura dell’istanza di accesso, emerge chiaramente tale esigenza là dove l’interessata ha precisato che: “…qualora dovesse risultare che un appalto è stato aggiudicato ad un’impresa che non ha versato i contributi previdenziali ai propri dipendenti, e che ha trasferito in corso di gara il proprio ramo d’azienda ad un altro soggetto al fine di eludere le relative conseguenze sulla partecipazione alla gara, vi sarebbero molteplici iniziative esperibili; prima fra tutte, la segnalazione della vicenda ad ANAC”.
12. Con la seconda censura l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata con riguardo alla allegata insussistenza dei presupposti per l’accesso civico.
12.1. Errerebbe il Tribunale nell’avere recisamente negato anche la concomitante istanza formulata ai sensi dell’articolo 5 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, sul presupposto che la reiezione della prima domanda avrebbe comportato effetti caducanti anche sull’accesso civico.
Più in particolare il primo giudice ha statuito che l’accesso civico non può “costituire una sorta di lascia passare attribuito al soggetto che, in base alla generale disciplina ex L. 241/1990, non sia titolare di una posizione giuridica tutelabile in relazione alla domanda di accesso”.
12.2. Anche questo motivo è fondato, dovendosi ritenere che le disposizioni dell’articolo 5 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, si applicano per giurisprudenza pacifica anche agli atti delle procedure di gara (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 2 aprile 2020, n. 10), non potendosi invero escludere una generale esigenza di trasparenza in ordine alle modalità di affidamento delle commesse pubbliche e non ostandovi alcuno degli interessi preclusivi di cui al successivo articolo 5-bis del medesimo decreto.
13. Conclusivamente, l’appello va accolto e, per l’effetto, la sentenza di primo grado deve essere riformata.