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Sentenze

Sintesi delle disposizioni volte a garantire i diritti dei lavoratori disabili

Il Tar Campania, nell’accogliere il ricorso, sintetizza in maniera efficace il contesto normativo finalizzato a promuovere i diritti dei lavoratori disabili.

Questo quanto stabilito da Tar Campania, Salerno, Sez. I, 11/12/2023, n. 2917:

22. Neppure valgono le considerazioni sulla diversità tra lavoratori disabili e non disabili che la ricorrente (quando rileva che il provvedimento adottato può risolversi in una discriminazione per i lavoratori disabili) e la controinteressata (quando rileva che la ricorrente avrebbe dovuto specificare tale “particolarità” dell’offerta al fine di consentirne la valutazione) sembrano adombrare sulla base del provvedimento e che l’Amministrazione smentisce.

L’ordinamento nazionale e quello sovranazionale recano disposizioni volte a garantire i diritti dei lavoratori disabili, a riconoscerne il contributo allo sviluppo sociale ed economico e a reprimere qualunque forma di discriminazione, incentivandone l’assunzione.

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili del 13 dicembre 2006, entrata in vigore il 14 giugno 2009, ratificata e resa esecutiva nel nostro Paese con la legge n. 18/2009, prevede i principi di dignità, autonomia, indipendenza, parità di opportunità, non discriminazione, piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società, rispetto per la differenza e accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa, principi particolarmente rilevanti anche ai fini della tutela delle persone disabili nel contesto delle relazioni del lavoro.

Lo stesso art. 4 della Convenzione impone agli Stati di garantire e promuovere la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutte le persone con disabilità e senza discriminazioni sulla base della disabilità stessa, assicurando il rispetto della predetta Convenzione anche da parte delle autorità pubbliche (art. 4, comma 1, lett. d); il successivo art. 8 prevede che gli Stati debbano adottare misure volte a promuovere il riconoscimento delle capacità, dei meriti e delle abilità delle persone con disabilità, del loro contributo nell’ambito dell’ambiente lavorativo e del mercato del lavoro (art. 8, comma 2, lett. a, punto iii).

L’art. 27, in particolare, impone agli Stati di riconoscere il diritto al lavoro delle persone con disabilità su basi di uguaglianza, il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, inclusivo e accessibile; la disposizione prevede che gli Stati debbano garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro, in particolare vietando la discriminazione fondata sulla disabilità con riferimento alle condizioni di reclutamento, assunzione e impiego, promuovendo le opportunità di utilizzazione nel mercato del lavoro mediante l’assistenza nella ricerca, nell’ottenimento e nel mantenimento di un lavoro, favorendo l’impiego di persone con disabilità nel settore privato attraverso politiche e misure adeguate che possono includere programmi di azione antidiscriminatoria, incentivi e altre misure (art. 27, comma 1, lett. a, e, h).

Infatti anche il lavoro contribuisce all’autonomia e all’indipendenza della persona con disabilità nell’ambito della società, consentendo non solo di reperire risorse economiche ma anche di utilizzare e di sviluppare le proprie capacità e attitudini ai fini della realizzazione di obiettivi personali e della partecipazione alla realizzazione di quelli della comunità tutta. A tal fine è essenziale che il mercato del lavoro assicuri pari opportunità di accesso e di trattamento alle persone con disabilità, escludendo ogni forma di discriminazione diretta o indiretta.

Nell’ambito dell’ordinamento europeo, l’art. 3 del Trattato sull’Unione europea individua gli obiettivi della piena occupazione e del progresso sociale, del contrasto dell’esclusione sociale e delle discriminazioni, della promozione della coesione economica e sociale.

L’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea vieta espressamente le discriminazioni basate sulla disabilità; l’art. 26 prevede invece il riconoscimento del diritto delle persone con disabilità di godere di misure specifiche volte a garantirne l’inserimento sociale e professionale nonché la partecipazione alla vita della comunità.

La direttiva 2000/78/CE proibisce le discriminazioni fondate (tra le varie fattispecie) anche sulla disabilità, sia in forma diretta sia indiretta, intervenendo anche sulle disposizioni, sui criteri e sulle prassi “apparentemente neutri [che] possono mettere in una posizione di particolare svantaggio … le persone portatrici di un particolare handicap … a meno che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”; il divieto colpisce anche le prassi che, incidendo sul contesto lavorativo, possono pregiudicare l’impiego di lavoratori disabili.

In tale contesto, considerato altresì che l’Unione Europea è parte della Convenzione ONU del 2006, la nuova Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 si prefigge l’incremento del tasso di occupazione delle persone disabili nell’ambito del mercato del lavoro aperto, anche sostenendo le imprese che assumono persone con disabilità, in quanto “liberare il potenziale e i talenti delle persone con disabilità porterà benefici alle singole persone, all’economia e alla coesione della società nel suo insieme”.

Il pilastro europeo dei diritti sociali, con particolare riferimento all’inclusione delle persone con disabilità, ha quindi solide basi nell’acquis unionale e fissa obiettivi che si correlano anche all’evoluzione del mercato del lavoro e della società.

È soprattutto di fronte alle grandi sfide del cambiamento e dello sviluppo economico che occorre fare appello a tutte le forze produttive al fine di realizzare quella cooperazione indispensabile al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

A tali obiettivi anche i lavoratori disabili possono e devono collaborare, sulla base di una moltiplicazione delle possibilità e delle opportunità di lavoro, volta a realizzare una situazione di piena parità nell’ambito del mercato del lavoro.

Nell’ambito dell’ordinamento nazionale, l’art. 2 della Costituzione prevede il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili della persona, imponendo altresì l’adempimento dei doveri solidaristici derivanti dall’appartenenza alla comunità; l’art. 3 pone il principio di uguaglianza formale e sostanziale, non solo riconoscendo la pari dignità sociale di tutti i cittadini senza distinzioni basate su condizioni personali ma disponendo anche l’adozione di misure di promozione del pieno sviluppo della persona e della partecipazione dei lavoratori alla vita sociale ed economica.

L’art. 4 della Costituzione, da un lato, riconosce il diritto al lavoro (promuovendone l’effettività) e, dall’altro, impone il dovere di svolgere, secondo le possibilità, un lavoro che concorra al pregresso morale o spirituale della società; l’art. 35 prevede la tutela del lavoro in tutte le sue forme nonché la formazione e lo sviluppo professionale dei lavoratori; l’art. 38, comma 3, sancisce il diritto dei disabili all’educazione e all’avviamento professionale.

Tale impianto normativo trova poi attuazione nella legge.

L’art. 8 della legge n. 104/1992 chiarisce che “l’inserimento e l’integrazione sociale della persona handicappata si realizzano mediante … misure atte a favorire la piena integrazione nel mondo del lavoro, in forma individuale o associata, e la tutela del posto di lavoro anche attraverso incentivi diversificati” (art. 8, comma 1, lett. f).

Più specificamente, la legge n. 68/1999 evidenzia la propria finalità di “promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”, prevedendo una adeguata valutazione della capacità lavorativa del disabile e l’inserimento “nel posto adatto”, forme di sostegno, azioni positive, soluzione dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro (art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1).

23. La breve disamina riportata consente di evidenziare che il contesto normativo internazionale, europeo e nazionale hanno ormai superato l’inquadramento medico – assistenziale del rapporto disabile – società, abbracciando un modello socio-economico che valorizza la disabilità come semplice diversità e il disabile come parte attiva della società e dell’economia; la rinnovata sensibilità verso le diverse componenti della comunità si è tradotta nel riconoscimento e nella promozione di diritti sociali che impongono allo Stato un ruolo attivo nella realizzazione degli stessi e alle imprese di farsi carico, con la valorizzazione di ogni risorsa produttiva, di un compito non solo economico. La garanzia di diritti fondamentali di tipo sociale porta con sé la necessità di combattere non solo l’esclusione sociale ma anche economica e quindi lavorativa, se è vero che anche attraverso il lavoro ciascuno partecipa al progresso dell’intera comunità.

Il principio personalistico e solidaristico che anima la Carta costituzionale fa sì che l’affermato primato della persona umana costituisca il cardine del riconoscimento di diritti e libertà fondamentali ma anche di doveri sociali, entrambi letti in una nuova dimensione partecipativa, politica, economica e sociale, legata al riconoscimento della pari dignità sociale, al conseguente pluralismo e alla necessità di rimuovere le situazioni di disuguaglianza e di subalternità.

Tale impostazione programmatica, volta alla realizzazione di una reale giustizia sociale, comporta non solo forme di tutela ma anche di promozione dei soggetti che versano, per qualunque ragione, in una condizione di debolezza, anche lavorativa, riequilibrando le situazioni di partenza.

Il lavoro, infatti, è espressione della personalità dell’individuo, delle sue capacità e inclinazioni, ma anche strumento di partecipazione alla vita sociale ed economica, mezzo di sostentamento, strumento attivo di contrasto di iniziali posizioni di svantaggio, stimolo alla crescita nonché contributo al benessere e al progresso della comunità; in sintesi, sotto il profilo materiale, è uno dei fondamentali punti di incontro e di relazione tra l’individuo e la collettività.

Così, se le istanze di fondo dell’impianto costituzionale informano ai valori della persona ogni ambito relazionale, al disabile, persona fra le persone, devono essere riconosciuti, in condizioni di parità, diritti inviolabili e doveri inderogabili, tenendo però conto anche della situazione peculiare e differenziata.

Ciò comporta non soltanto il diritto a prestazioni di tipo assistenziale (proprie di uno stato sociale erogatore di prestazioni volte a soddisfare diritti fondamentali) ma anche iniziative attive volte a combattere l’esclusione sociale ed economica e ad assicurare il pieno inserimento nel mondo del lavoro, compensando la “diversità” psicofisica, valorizzando il capitale umano, offrendo opportunità non solo di autonomia ma anche di crescita, giustificando forme di incentivo all’assunzione al fine di sterilizzare la situazione di svantaggio.

Tali incentivi all’assunzione di disabili non solo riequilibrano la situazione di disparità iniziale ma incoraggiano anche il lavoratore disabile a prendere coscienza della propria abilità e della possibilità di partecipare alla attività economica e produttiva, accrescendo la consapevolezza della collettività e del mondo dell’impresa circa i problemi relativi alla disabilità.

La normativa internazionale, europea, nazionale e, in quest’ambito, soprattutto costituzionale (che con estrema sensibilità ha precorso i tempi) pone il disabile come componente non solo della società ma anche del tessuto produttivo in condizioni di effettiva parità; la disabilità non identifica la persona ma definisce la particolarità delle abilità che permangono e che il soggetto può e deve utilizzare.

Tali indicazioni normative, attenendo a un diritto fondamentale della persona, sono idonee a conformare e condizionare l’esercizio del potere amministrativo nel momento in cui questo si confronta con una situazione fattuale e giuridica che coinvolge tale diritto.

È evidente l’intento non discriminatorio dell’Amministrazione (nella documentazione di gara non sono infatti previsti limiti all’impiego di disabili); essa, invece, manifesta perplessità circa la non immediata disponibilità nonché circa le concrete possibilità di reperire l’indicato numero di lavoratori, disabili e idonei allo svolgimento dell’attività.

Tuttavia, fermo restando quanto già sopra argomentato, occorre aggiungere che neppure tale dubbio può idoneamente fondare il giudizio di inaffidabilità dell’offerta, anche al fine di non frustare obiettivi insiti nella disciplina in materia di appalti pubblici e in quella di incentivo all’assunzione di disabili, risolvendosi in ultima analisi in una forma indiretta di discriminazione idonea a compromettere sia la componente difensiva sia quella pretensiva di una situazione giuridica fondamentale della persona disabile.

Non è estranea alla logica dell’appalto l’assunzione di lavoratori disabili; lo stesso art. 47 del d.l. n. 77/2021 (sebbene non applicabile al caso di specie) incentiva l’impiego di lavoratori svantaggiati (tra cui i lavoratori disabili) nell’esecuzione delle commesse finanziate mediante risorse previste dal PNRR e dal PNC.

Più in generale, gli obiettivi di tutela occupazionale dei disabili non sono estranei al d.lgs. n. 50/2016 e al nuovo d.lgs. n. 36/2023 (cfr., per quest’ultimo, l’art. 57).

Se l’obiettivo di fondo è quello di realizzare l’effettività del diritto al lavoro delle persone con disabilità e incrementarne i livelli occupazionali, occorre scongiurare poi anche quelle prassi che possono diminuire l’effetto promozionale e incentivante delle misure volte a favorirne l’impiego nel tessuto economico e produttivo.

Allo stesso modo non rileva il numero e il grado di disabilità dei lavoratori, risultando altrimenti preclusa o diminuita l’operatività dell’effetto di incentivo proprio per quelle ipotesi in cui deve manifestarsi con maggiore incisività.

È pur vero che l’art. 5 della legge n. 68/1999 esonera dagli obblighi assunzionali in materia di disabili gli operatori economici del settore edile per quanto concerne il personale di cantiere e gli addetti al trasporto; occorre tuttavia considerare che tale esclusione non è idonea a inficiare la facoltà di impiego di tali lavoratori qualora idonei alle mansioni.

In materia di impiego di lavoratori disabili, occorre richiamare Consiglio di Stato, Sez. VII, 25 ottobre 2023, n. 9249 che ha affermato, al pari della sentenza pur riformata con la medesima pronuncia, la “meritevolezza dell’iniziativa diretta all’inserimento lavorativo dei soggetti con disabilità, espressamente attestata dal primo giudice, in conformità, del resto, alla disciplina normativa di riferimento e, prima ancora, ai generali principi ordinamentali” e ribadito “il generale principio, di parità di trattamento dei lavoratori, positivizzato dall’art. 3, comma 1 del d. lgs. n. 216 del 2003 (“Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e della direttiva n. 2014/54/UE relativa alle misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori”), “senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età, di nazionalità e di orientamento sessuale”.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti
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